quarta di copertina da "I Simpson e la filosofia"

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venerdì 10 agosto 2007

L'ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

L’ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Il 10 giugno del 1940 Mussolini dichiarò guerra alla Francia e all'Inghilterra annunciando l'inizio delle ostilità da Palazzo Venezia davanti a una folla osannante: "Combattenti di terra, di mare, dell'aria; camicie nere della rivoluzione e delle legioni; uomini e donne d'Italia, dell'Impero; ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L'ora delle decisioni irrevocabili".
In America, raggiunto dalla notizia dell'intervento dell'Italia contro una Francia che stava capitolando, Roosevelt rilasciò a Charlottesville, in Virginia, una dura e amara dichiarazione alla radio: "In questo 10 giugno, la mano che teneva il pugnale l'ha affondato nella schiena del suo vicino".
Dopo la dichiarazione di guerra, le forze armate italiane tennero sostanzialmente un atteggiamento prudente e attendista, seguendo alla lettera le prime direttive mussoliniane. Sul fronte occidentale, ovvero la linea di confine con la Francia sulle Alpi, l'iniziativa fu presa con grande ritardo: solo il 21 Giugno, infatti, confidando nella sconfitta ormai totale dello stato transalpino, Mussolini ordinò alle divisioni presenti in Piemonte e Liguria di attaccare la Costa Azzurra. L'obiettivo era occupare una lunga striscia di territorio sino a Nizza. Ma la meschina convinzione del Duce di "una comoda passeggiata" si risolse in un pasticcio tragico e imbarazzante; l'esercito francese, infatti, era sì a pezzi ma ancora capace di letali zampate, specie contro lo sgangherato e impreparato esercito nostrano.
I francesi avevano sguarnito tutta la frontiera alpina a ridosso dei confini italiani per inviare tutte le truppe disponibili sul fronte della Somme e dell'Aisne. Sulle Alpi avevano lasciato solo cinque divisioni, e nonostante le 32 divisioni italiane che le aggredirono riuscirono a contenere gli attacchi italiani.
Sulla carta la vittoria italiana sembrava rapida e scontata. Ma l'attacco delle divisioni italiane, malcomandate e scollegate tra loro, fu lento e scriteriato: così, pur in inferiorità numerica, i francesi ebbero buon gioco a difendersi. Solo dopo molti sforzi, si riuscì a passare la frontiera di S.Luigi e giungere a Mentone. In soli quattro giorni di combattimento effettivo, i soldati italiani subirono perdite gravissime (oltre 600 morti e più di 2000 feriti), ottenendo risultati minimi.
L'effetto militare dell'offensiva contro la Francia fu quindi scarso e sanguinoso; peggio ancora fu quello politico. L'aver attaccato i francesi nel momento in cui essi stavano crollando sotto l'assalto dei Panzer hitleriani fu visto come un gesto disonorevole, addirittura maramaldesco. Inoltre, anche l'illusione mussoliniana di ottenere forti vantaggi territoriali imponendo una pace punitiva al governo transalpino venne presto smentita: Hitler, infatti, aveva tutt'altre intenzioni; non intendeva affatto umiliare il nemico vinto, poiché sperava di poterlo portare nel proprio campo in funzione anti-inglese (cosa che in effetti avvenne parzialmente con il governo collaborazionista di Vichy).
Con l'armistizio del 24 giugno, l'Italia ottenne dalla Francia solo la smilitarizzazione di un ristretto territorio in Europa e in Africa, oltre che la possibilità di usare il porto di Gibuti nella Somalia francese. La facile avventura si era trasformata in una cocente umiliazione.
Campagna d'Africa (1940-1943)
Le operazioni in Africa Settentrionale iniziarono il 10 giugno 1940, al momento della dichiarazione di guerra. I soldati italiani, al comando del generale Rodolfo Graziani, più numerosi, ma peggio armati ed organizzati, dopo un'iniziale offensiva nel settembre-ottobre dello stesso anno, si spinsero fino a Sidi-el-Barrani a 90 Km dalla frontiera egiziana. Un deciso contrattacco inglese, appoggiato da mezzi corazzati e da una forte aviazione, travolse le divisioni italiane in Egitto, riuscendo persino ad invadere la Cirenaica e conquistarla. Il morale delle truppe italiane, scosse e disorganizzate, scese molto in basso, ma il comando inglese non poté approfittarne per tentare la conquista della Tripolitania. Uomini e mezzi dovettero essere trasferiti in Grecia, dove le truppe italiane erano in forte difficoltà. Mussolini constatando la gravità in cui si trovavano i soldati italiani in Libia, accettò l'offerta d'aiuto di Hitler. Un'armata tedesca, totalmente corazzata e meccanizzata, addestrata per la guerra nel deserto, fu inviata in Africa sotto il nome di Afrikakorps. Il comando dei reparti fu affidato a Erwin Rommel, un brillante ufficiale che si era distinto in Francia, al comando di una divisione corazzata.
Campagna di Grecia
Il duce prese la decisione definitiva di attaccare la Grecia il 15 ottobre del 1940. Quella mattina si tenne a Palazzo Venezia una riunione dei capi militari italiani. Egli aprì la seduta con le parole seguenti: «Lo scopo di questa riunione è quello di definire le modalità dell’azione (nel suo carattere generale) che ho deciso di iniziare contro la Grecia. Questa azione, in un primo tempo, deve avere obiettivi di carattere marittimo e di carattere territoriale. Gli obiettivi di carattere territoriale ci debbono portare alla presa di possesso di tutta la costa meridionale albanese, quelli cioè che ci devono dare la occupazione delle isole ioniche (Zante, Cefalonia, Corfù) e la conquista di Salonicco. Quando noi avremo raggiunto questi obiettivi, avremo migliorato le nostre posizioni nel Mediterraneo nei confronti dell’Inghilterra. In un secondo tempo, o in concomitanza di queste azioni, l’occupazione integrale della Grecia, per metterla fuori combattimento e per assicurarci che in ogni circostanza rimarrà nel nostro spazio politico economico.
Precisata così la questione, ho stabilito anche la data, che a mio parere non può essere ritardata neanche di un’ora: cioè il 26 di questo mese. Questa è un’azione che ho maturata lungamente da mesi e mesi; prima della nostra partecipazione alla guerra e anche prima dell’inizio del conflitto... Aggiungo che non vedo complicazioni al nord. La Jugoslavia ha tutto l’interesse di stare tranquilla... Complicazioni di carattere turco le escludo, specialmente da quando la Germania si è impiantata in Romania e da quando la Bulgaria si è rafforzata. Essa può costituire una pedina nel nostro gioco, e io farò i passi necessari perché non perda questa occasione unica per il raggiungimento delle sue aspirazioni sulla Macedonia e per lo sbocco al mare...». L'idea strategica - di conquistare una base nel Mediterraneo con la Grecia e le isole - forse poteva essere quella di favorire l'impresa in Africa. Ma che sia stata una decisione presa a livello politico e non militare è assodato; basti dire che alla riunione che si svolse per definire il piano d'invasione (pur trattandosi di un paese dove le azioni in mare erano strategicamente molto importanti) non fu chiamato nemmeno un rappresentante della Marina. L'impresa in Grecia doveva dunque far ritornare all'interno del Paese il prestigio. Ma non ultimo motivo, era quello - in vista di una eventuale pace - di potersi sedere l'Italia al tavolo delle trattative con qualche cosa in mano (e non com'era andata a finire in Francia). Essendo il governo greco da ormai tre anni filo-fascista e filo nazista, un avvicinamento politico sarebbe stato molto più agevole e più redditizio di un conflitto, iniziato poi con un inverno alla porte e con una evidente impreparazione militare.
Soldati impiegati e perdite
Nella campagna furono impiegati 500.000 soldati italiani
Morti: 13.755 morti
Feriti: oltre 50.000
Congelati gravi: 12.368
Dispersi: 25.067
Cronologia della Campagna di Grecia (1940-1941)
15 ottobre 1940. Mussolini discute a Palazzo Venezia con Badoglio e Roatta e gli altri capi militari l'ipotesi di attaccare la Grecia: nonostante le perplessità dei capi militari l'attacco viene fissato per fine mese.
28 ottobre. Prima dell’alba del 28 ottobre il ministro d’Italia a Atene presenta un ultimatum al generale Metaxas, Primo Ministro greco. Mussolini chiede che tutta la Grecia venga aperta alle truppe italiane. Contemporaneamente all’alba, le truppe italiane dislocate in Albania Le condizioni atmosferiche, pessime, favoriscono i difensori. Il Governo greco, che ha forze pronte alla frontiera, respinge l’ultimatum. E invoca presso gli inglesi anche la garanzia data da Chamberlain il 13 aprile 1939. Dietro consiglio del Gabinetto di Guerra e per impulso del suo cuore stesso Sua Maestà risponde al Re degli Elleni: «La vostra causa è la nostra causa, noi combatteremo contro un nemico comune”. Churchill risponde all’appello del generale Metaxas: «Noi vi daremo tutto l’aiuto che è in nostro potere. Noi combatteremo contro un nemico comune e condivideremo una vittoria unita». Quello stesso giorno Mussolini incontra Hitler a Firenze, fortemente contrariato dal fatto di essere stato informato solo il giorno precedente.
29-30 ottobre. L'offensiva dei Balcani si arena. Il primo assalto fu respinto con gravi perdite.
12 novembre. Interviene nella guerra l'Inghilterra. Dopo due tentativi su Napoli il 3 il 5 novembre, il 12 novembre c'è un massiccio attacco aereo inglese alla base navale di Taranto con pesanti perdite per l'Italia. È un colpo molto duro per la flotta italiana che perde la metà delle sue corazzate. Altri incrociatori affondano al largo quattro mercantili. Incursioni di altri aerei su Brindisi, Bari, e ancora Taranto.
19 Novembre. Mussolini pronuncia alla radio la famosa frase "spezzeremo le reni alla Grecia".
20 Novembre. Hitler scrive a Mussolini criticandolo duramente per aver aperto un nuovo fronte.
22 Novembre - Mussolini risponde ai rimproveri, ricordandogli la lettera (appositamente ritardata) fattagli pervenire il giorno prima dell'incontro a Firenze con l'attacco in Grecia già iniziato. Mussolini in quella lettera gli chiedeva di esprimere un parere sulla sua azione, ma Hitler ovviamente non rispose per iscritto, ma verbalmente in quell'incontro espose (perfino infuriato) la sua disapprovazione.
3 Dicembre Gli italiani in Grecia sono costretti a ripiegare e perdono (con le ostilità dei locali) anche un terzo dell'Albania dove erano già arretrati . Mussolini per evitare la disfatta, ormai impantanato "nel fango", è costretto a chiedere urgenti aiuti a Hitler.
5 Dicembre - Hitler scrive a Mussolini una lettera informandolo che per quanto riguarda gli aiuti urgenti in Grecia gli dà notizia che una squadriglia aerea sta partendo diretta alle basi siciliane, in quanto a quella terrestre sarà pronta non prima di marzo; ma gli comunica anche che sarà uno staff di Generali tedeschi a prendere il comando delle operazioni belliche in Grecia e in Africa. "Lo consideriamo come un Comando Speciale che dopo aver assolto il suo compito, vorrei averlo nuovamente a mia disposizione per altro impiego".
1941
6 gennaio - In un lungo memorandum al Consiglio dei capi di Stato Maggiore, Churchill pone al primo posto l’aiuto alla Grecia, a rischio di sacrificare ogni ulteriore avanzata in Africa settentrionale. Il premier sostiene che occorre aiutare i greci nella conquista di Valona, in Albania, per evitare che, sentendosi abbandonati dall’alleato inglese, i greci possano scoraggiarsi e magari firmare una pace separata con l’Italia. Pochi giorni dopo, avuta notizia dei concentramenti di truppe tedesche che preludono a una vasta azione nei Balcani, lo stesso Churchill precisa a Wavell che, una volta conquistata Tobruk, tutte le operazione in Libia devono essere subordinate alle esigenze del fronte greco. Intanto i greci premono con grande energia contro Klisura (Kèlcyrè) che il giorno dopo deve essere evacuata dagli italiani.
8 gennaio - Gli inglesi si muovono in aiuto dei greci. Iniziano a bombardare il porto di Napoli; subisce danni seri la corazzata italiana Giulio Cesare di 29.000 t, e viene colpita anche, ma in maniera non grave, la modernissima corazzata Vittorio Veneto.
Gennaio. Il Pnf decide la mobilitazione generale dei quadri: ministri e gerarchi dovranno arruolarsi volontari sul fronte albanese, per essere d'esempio al popolo.
19 gennaio. Mussolini incontra Hitler e gli chiede appoggio in nord Africa ma non in Grecia.
27 gennaio - Il ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano raggiunge il fronte greco-albanese per assumervi il comando di un Gruppo aereo da bombardamento. Numerosi gerarchi sono mandati al fronte.
22 febbraio. Giunge ad Atene la delegazione britannica per le modalità per l’invio del corpo di spedizione britannico in Grecia.
28 febbraio. Il generake Wilson arriva ad Atene.
1 marzo. Anche la Bulgaria sottoscrive il patto tripartito.
2 marzo. Si muovono anche le truppe tedesche destinate ad attaccare la Grecia. Incominciano ad attraversare il Danubio e a riversarsi in territorio bulgaro
7 marzo. Primi sbarchi inglesi nel porto del Pireo.
28 marzo. Le forze della Marina italiana subiscono una nuova pesante sconfitta dagli inglesi a Capo Matapan, nel Peloponneso.
Aprile. Le truppe tedesche arrivano in Grecia e cambiano lo scenario dello scontro.
6 aprile. La Germania decide l'invasione della Jugoslavia, appoggiata da Italia, Ungheria e Bulgaria, dopo la stipula di un patto di amicizia tra la Jugoslavia e Unione sovietica. In Jugoslavia a marzo i militari appoggiati dalla popolazione avevano rovesciato il governo filonazista. Le truppe italiane attaccano dall'Istria e dall'Albania. La Jugoslavia viene smembrata: si costituisce lo stato autonomo di Croazia, filonazista, governato col terrore da Ante Pavelic.
7-9 aprile. Le armate tedesche provenienti dall'Austria e Ungheria, con quelle della Romania, si congiungono a Belgrado, presidiano poi a Est le Porte di Ferro, e proseguono verso la Grecia, a Salonicco.
9 aprile. Di fronte all'avanzata tedesca, l’armata greca comandata dal gen. Bakopoulos, è costretta a capitolare, con
19 aprile. I greci sul Pindo con il passo di Metsovsi bloccato, si vedono tagliare la via della ritirata dai carri della divisione corazzata SS Adolf Hitler. Con l'armata greca in Macedonia che ha già trattato la resa, per i greci è la fine.
21 aprile. A Làrisa, presso il comando della 12a armata tedesca di von List, i plenipotenziari greci firmano la capitolazione. Gli unici assenti gli italiani. La notizia riempie di sdegno Mussolini perchè non lo hanno nemmeno chiamato. Poi per ordine di Hitler, la cerimonia verrà ripetuta, con l’intervento di un rappresentante italiano, due giorni dopo, il 23 Aprile in una villa nei pressi di Salonicco.
27 aprile. Le armate tedesche entrano ad Atene. Sul Partenone sventola la bandiera nazista.
1 maggio. I tedeschi occupano tutte le rive dell’Egeo.
3 maggio. Parata italo-tedesca ad Atene per celebrare la vittoria dell'Asse. A Berlino, parlando al Reichstag, Hitler annuncia l’esito trionfale della campagna balcanica.
Campagna di Jugoslavia
La guerra con la Jugoslavia fu voluta da Hitler, che perseguiva il disegno di penetrazione della Germania nei Balcani. L'Italia si accodò, e ne ricevette benefici territoriali (l'annessione della provincia di Lubiana in Slovenia, il controllo del Regno di Croazia e il protettorato del Montenegro). Il conflitto vero e proprio iniziò il 6 aprile del '41 e durò soltanto undici giorni. Il 12 aprile la bandiera nazista sventolava a Belgrado e il 17 l'esercito jugoslavo firmava la capitolazione. Il regime di occupazione italiana fu duro e crudele; molti partigiani e civili furono uccisi o internati in campi di concentramento. Già a luglio in Jugoslavia nacque la Resistenza, che diede un grande contributo agli Alleati alla cacciata dei tedeschi dalla penisola (anche se ci furono scontri fraticidi tra le varie formazioni partigiane e i titini si macchiarono di terribili violenze - le foibe - nei confronti degli italiani nella Venezia Giulia, nel settembre-ottobre 1943 e soprattutto nella primavera del '45). Con 1'8 settembre, le forze militari italiane presenti nella regione si disgregarono in modo fulmineo. Anche molti militari italiani si unirono ai partigiani slavi.

1941-1943: i regimi d'occupazione italiani in Jugoslavia
a cura di Teodoro Sala
L'attenzione si rivolge qui al solo caso organicamente studiato della Slovenia annessa (3 maggio 1941) dopo il disfacimento della vecchia Jugoslavia sotto l'urto delle armate tedesche, italiane e degli alleati minori ungheresi e bulgari. Altro spazio dovrebbe essere dedicato alla sorte pressoché analoga della Dalmazia, degli altri territori croati e del Montenegro.
In Slovenia (attribuita all'Italia quella che diviene la "provincia" di Lubiana, incamerata dalla Germania oltre la metà, quella più ricca, del paese) l'azione repressiva - per limitarci a questo aspetto - contro i partigiani e contro la popolazione civile, considerata in gran parte connivente, fu affidata alle autorità civili, impersonate nell'Alto Commissariato, e soprattutto al nostro XI Corpo d'armata. Durante l'estate-autunno del 1942 i militari condussero l'intervento più massiccio e capillare (ma non decisivo) che mise a ferro e fuoco l'intera provincia: una linea d'azione che può essere letta correlandola col comportamento simile assunto dai tedeschi nel territorio di loro competenza. Dove, però, a differenza degli italiani, diedero avvio ad un programma di rapida germanizzazione.
Nomi gentili quelli dati ai due cicli operativi: Enzian (genziana) quello adottato dai tedeschi per l'attacco condotto nella stessa estate nel 1942, Primavera fu chiamata la campagna italiana.
Per il caso tedesco cito quanto scrive lo storico sloveno Ferenc che più puntualmente ha studiato il periodo:
"L'offensiva si svolse con una violenza terrificante, poiché gli occupanti tedeschi vi fucilarono molti ostaggi, come d'altronde in tutto il periodo dell'occupazione, incendiarono e rasero al suolo undici villaggi in cui fucilarono gli uomini dai quindici anni in su, e cacciarono i rimanenti abitanti in campo di concentramento, assegnando però i bambini a speciali campi di "rieducazione"Nel caso italiano la proporzione fra alcune cifre dà il quadro dei risultati raggiunti. Le premesse stavano nelle direttive emanate dagli alti comandi il 7 luglio 1942:
"Saranno passati per le armi tutti gli uomini validi trovati nella zona di combattimento; resta chiarito che ugual sorte toccherà a chiunque non della zona venga trovato sul posto. Contadini, lavoratori e uomini validi in genere, trovati in zone abbandonate da ribelli in fuga, debbono essere fucilati perché, non potendo essere giustificata la loro presenza debbono essere considerati sbandati o dispersi"
Fra gennaio e dicembre del 1942 il Corpo d'armata italiano, tra ufficiali e truppa, ebbe 678 caduti e 111 dispersi, 1114 feriti. Nel solo periodo compreso tra il 16 luglio e la fine d'agosto dello stesso anno i partigiani (stimati in circa 5.000 operanti allora nella "provincia" che contava pressappoco 340.000 abitanti) ebbero, secondo i comandi italiani, 1.053 caduti e 1.383 catturati . Ma i fucilati sul posto furono 1.236. Il generale Robotti, comandante del Corpo d'armata "esigeva il massacro anche dei prigionieri feriti. Perciò in Slovenia non ci furono scambi di prigionieri e feriti, come invece avveniva in altre province jugoslave".
Nel periodo aprile 1942 - gennaio 1943 l'uccisione di ostaggi, 145, superò di quasi tre volte le esecuzioni capitali, 51, decise dai tribunali militari. Non si parla qui dei danni materiali inferti, dei centri abitati dati alle fiamme. "Questa popolazione non ci amerà mai" ebbe a dichiarare Mussolini: 25.000 sloveni (oltre il 7% dei residenti nella "provincia"), nel periodo dell'occupazione, furono deportati nei campi d'internamento italiani.
Un ulteriore processo di imbarbarimento dilagava nel cuore stesso d'Europa.
Tra il 1942 e il 1943 la rivolta travalicò il vecchio confine statale italiano e si estese ben dentro le province di Trieste e Gorizia lambendo anche quella di Udine. Più lentamente il fenomeno si manifestò in Istria con l'infiltrazione della guerriglia croata (ma la mobilità partigiana non conosceva compartimenti stagni). Molto prima dello sbarco alleato in Sicilia nasceva per l'Italia un secondo fronte al confine orientale dove, nello stillicidio della guerriglia, rimasero immobilizzate ingenti forze militari.
La Venezia Giulia era stata gettata nel baratro balcanico fin da quando fu deciso nell'aprile del 1941 di porre a Fiume il comando della II Armata, la grande unità (comprendeva anche l'XI Corpo) che fino al 1943 avrebbe dovuto assicurare un contrastato controllo sull'intero spazio tra la Slovenia e il Montenegro.
La nota del marzo 1943 del Comando supremo, prevedendo l'abbandono alla Germania della supremazia in Adriatico, prefigurava inevitabilmente il destino delle regioni nordorientali italiane. Non per caso l'occupazione tedesca della Venezia Giulia e la creazione dell'Adriatisches Küstenland che comprendeva anche il Friuli e, significativamente, l'ex "provincia" di Lubiana, nell'ultima fase della guerra, rappresentarono la cerniera più importante di raccordo tra la Germania e la penisola balcanica.
Campagna di Russia
Il 22 giugno 1941 scattò l’operazione Barbarossa, l’attacco tedesco contro l’Urss. I vertici militari sottovalutarono l’Armata Rossa ed erano convinti di sconfiggerla in cinque settimane, prima del rigido inverno russo (che già era costato caro a Napoleone). I sovietici attuarono la tattica della terra bruciata, indietreggiando verso l’interno, mentre Stalin si appellava al nazionalismo russo per spingere la popolazione civile alla resistenza contro l’invasore e ad atti di sabotaggio nelle retrovie. Mussolini, che era stato tenuto all'oscuro dei piani hitleriani, si associava e inviava un corpo di spedizione di circa 60.000 uomini, il Csir - Corpo di spedizione italiano in Russia - poi Armir - armata italiana in Russia, composto dalle divisioni Pasubio, Torino e Celere, al comando del generale Giovanni Messe.
L'avanzata tedesca
L‘ invasione della Russia da parte di Hitler mutò radicalmente tutte le prospettive della guerra. Hitler, ma anche i suoi generali, si erano lasciati fuorviare dalla cattiva prova data dai russi contro i finlandesi. Ciò nonostante furono i russi ad esser colti di sorpresa e a subire inizialmente enormi perdite. Il fronte tedesco di combattimento correva lungo tutta la frontiera dal Baltico al Mar Nero. Il gruppo d’armate settentrionale, agli ordini di von Leeb, forte di 29 divisioni, di cui 3 corazzate e 3 motorizzate doveva avanzare dalla Prussia orientale su Leningrado. Il gruppo d’armate centrale, agli ordini di von Bock, composto di 50 divisioni, di cui 9 corazzate e 6 motorizzate, doveva dalla Polonia settentrionale puntare su Smolensk. Il gruppo d’armate meridionale di von Rundstedt, con 41 divisioni, di cui 5 corazzate e 3 motorizzate, doveva muovere dalla Polonia meridionale in direzione del basso Dneper. Altre 26 divisioni furono tenute a disposizione, o sarebbero state disponibili di là a poco, come riserva generale. Appoggiavano l’attacco più di 2700 apparecchi. Inoltre, nel nord, 12 divisioni finniche dovevano avanzare su Leningrado appoggiando l’attacco principale. Nel sud, 11 divisioni dell’esercito romeno dovevano rimanere sulla difensiva lungo il Prut, mentre altre 6 avrebbero partecipato all’avanzata del gruppo d’armate meridionale. In complesso, 164 divisioni si misero in marcia verso oriente. Gli invasori, secondo i migliori resoconti disponibili, si trovarono di fronte a 119 divisioni russe e ad almeno 5000 apparecchi. Altre 67 divisioni erano disponibili in Finlandia, nel Caucaso e nella Russia centrale.
Il contributo italiano
Nell'estate del '41, unito alla 11a armata tedesca, il Corpo di Spedizione Italiano, fu incaricato di forzare il fiume Dnestr in più punti, dove i tedeschi avevano scarsi rinforzi, e tentare di chiudere in una sacca, tra il Dnestr e il fiume Bug, alcuni contingenti sovietici. In agosto scoppiarono i primi veri e propri combattimenti che impegnarono in particolar modo la divisione Pasubio che dette ottima prova di sé, anche se il problema dell'impreparazione si manifestava in modo sempre più insistente. Il Csir dimostrò immediatamente di non essere all'altezza della situazione sia come qualità che come quantità di armamenti e mezzi trasporto: i carri armati erano inadeguati alle caratteristiche delle rotabili, l'artiglieria, come riferisce la Storia Ufficiale del Corpo di spedizione, era preda bellica austro-ungarica e i cannoni erano già veterani della guerra italo-turca e della prima guerra mondiale. A volte si arrivava a livelli paradossali. A causa dello scarsissimo numero di autocarri infatti, le divisioni erano costrette a fare a turno per utilizzarli, così che tra un reparto e l'altro si formavano centinaia di chilometri di distanza, provocando il fenomeno della dispersione delle truppe e rendendo i collegamenti tra le stesse estremamente difficoltosi. Nel primo mese, i tedeschi invasero e devastarono la Russia per una profondità di 500 chilometri. Smolensk fu occupata dopo aspri combattimenti, nel corso dei quali i russi avevano lanciato potenti contrattacchi. Fino a quando l'altrettanto impreparato esercito russo adottò la tattica della difesa ad oltranza, le vittorie si susseguirono con relativa facilità ed in poche settimane l'esercito tedesco insieme ai suoi alleati, attaccando sul Dnepr, obbligò alla resa la città di Kiev e fece seicentomila prigionieri.
I russi arretrano
Caduta Kiev, l'Alto comando sovietico decise per la strategia del ripiegamento di fronte all'avanzata nemica: da questo momento iniziò la lenta ma inesorabile disfatta dei due eserciti invasori, incalzati dagli assalti inaspettati della disperata resistenza dei siberiani, assediati dai terribili inverni russi e completamente disorientati di fronte alle aperte e sterminate pianure sovietiche. Altri paesi erano stati colti di sorpresa e completamente occupati dalla Germania. Solo l’immensa Russia aveva il supremo vantaggio della profondità; e questo vantaggio doveva ancora una volta costituire la sua salvezza. Si era ormai ad autunno inoltrato.
Mosca assediata
Il 2 ottobre, il gruppo di armate centrale di von Bock riprese ad avanzare su Mosca; le sue due armate puntarono direttamente sulla capitale da sud-ovest mentre un gruppo corazzato svolgeva una manovra di aggiramento a largo raggio contro i due fianchi del nemico. L'8 ottobre veniva occupata Orel, e una settimana dopo Kalinin sulla strada di Mosca-Leningrado. Con i fianchi così gravemente minacciati e sotto la potente pressione tedesca contro il centro del suo schieramento, il maresciallo Timosenko ritirò le sue truppe su di una linea a 65 chilometri ad occidente di Mosca, dove si attestò per riprendere i combattimenti. La situazione russa in questo momento era estremamente grave. Il Governo sovietico, il corpo diplomatico e tutte le industrie che potevano essere trasferite, abbandonarono la città per riparare a Kujbysev, oltre 800 chilometri più ad oriente. Il 19 ottobre Stalin proclamò lo stato d’assedio nella capitale ed emanò un ordine del giorno: «Mosca sarà difesa sino all’ultimo». I suoi ordini furono fedelmente obbediti. In autunno furono assegnati al Csir gli obiettivi del bacino industriale del Donetz e la zona di Rostov e alla fine di ottobre, dopo alcuni aspri combattimenti come quello di Nikitovka, le nostre truppe entrarono a Stalino.
Sebbene il gruppo corazzato di Guderian avanzasse da Orel sino a Tula, sebbene Mosca fosse ormai circondata da tre lati e ripetutamente bombardata dall’aria, la fine di ottobre registrò un netto irrigidimento della resistenza russa e un arresto evidente dell’avanzata tedesca. Il generale Messe, nel frattempo faceva continui rapporti a Roma sulla situazione disastrosa delle truppe che non avevano più viveri, mancavano di scarpe adeguate ed erano logorati completamente nel fisico e sosteneva che nessun'altra azione era possibile fintanto che non si fosse risolto il problema logistico. Ma la principale preoccupazione di Mussolini continuava ad essere il doveroso aiuto da offrire all'alleato e fremeva per spedire altri contingenti in Russia. All'inizio di dicembre il gelo insopportabile impose la sosta di tutte le truppe e i reparti tedeschi abbandonarono l'idea di conquistare Mosca entro la fine dell'anno.
La conquista della Crimea
Nel febbraio 1942 viene deciso l'invio al fronte russo di nuovi contingenti italiani. Hitler riteneva che la conquista di Mosca avrebbe comportato una grande perdita di tempo e impose di procedere sulle due ali del fronte, verso nord, per mettere fuori gioco Leningrado e a sud, per conquistare la Crimea ed occupare Stalingrado e il Caucaso fino al confine turco. In primavera e in estate riprende l'offensiva tedesca, concentrata sui territori sovietici sud-orientali. In maggio la Crimea era conquistata, eccetto Sebastopoli e l'esercito tedesco marciava, oltre il Don, verso il Volga, alla volta del Caucaso. I russi, che dal primo luglio avevano sostituito la strategia dello spazio aperto con quella della strenua difesa di ogni palmo di terreno, subivano continue sconfitte. Ma attingendo ad un serbatoio umano che sembrava inesauribile, riuscendo ad organizzare la produzione industriale e ricevendo aiuti americani, riuscivano incredibilmente a compensare lo spaventoso numero di perdite.
L'Italia manda altre truppe: nasce l'Armir
Il 2 giugno 1942 Messe, ricevuto a colloquio da Mussolini, aveva ribadito per l'ennesima volta i suoi cattivi presagi sulle sorti della guerra e aveva dichiarato espressamente che l'invio di altri contingenti poteva costare un alto prezzo all'Italia. "Caro Messe" - replicò Mussolini - "al tavolo della pace peseranno assai più i 200 mila dell'Armata che i 60 mila del Csir.” Inizialmente l'ARMIR fu inquadrata nella 17a armata tedesca e da essa riceveva gli ordini. Stanziata alla destra del Don, le fu assegnato il compito di lanciarsi alla conquista di Stalingrado, mentre altre divisioni tedesche sarebbero avanzate verso il Caucaso. I comandi tedeschi avevano l'ordine di non svelare tutti gli obiettivi e i piani militari agli alleati, mentre invece Berlino esigeva rapporti dettagliati sulla situazione degli italiani sul campo. Nonostante le vive lamentele di Gariboldi per la posizione di netta inferiorità in cui veniva tenuto dagli alleati, Roma eseguiva alla lettera le direttive del Führer e ripeteva di attenersi scrupolosamente agli ordini impartiti dall'esercito tedesco.
La Battaglia di Stalingrado
Nel settembre 1942 comincia la lunga battaglia di Stalingrado: i tedeschi stringono d'assedio la città, ma alla metà di novembre si trovano accerchiati dalla controffensiva sovietica. Lo schieramento italiano si estendeva lungo il Don per ben trecento chilometri; proseguiva, alla sua sinistra, una sottile linea ungherese lunga duecento chilometri e a destra un'armata romena, quindi c'erano armate tedesche fino a Stalingrado. L'incredibile lunghezza dello schieramento andava a scapito della sua robustezza: esso era infatti troppo sottile e totalmente sfornito di rincalzi.
Le truppe sovietiche invece, numerose e imponenti, erano tutte ammassate contro i punti deboli del fronte, cioè contro il settore rumeno e contro le divisioni italiane. Il 16 dicembre, dopo alcuni giorni di intensi bombardamenti di logoramento, i russi sferrarono l'attacco decisivo. Le due divisioni italiane di fanteria, con 47 carri armati, 132 pezzi d'artiglieria, 114 cannoni controcarro, resistettero per quattro giorni ai colpi di dieci divisioni di fanteria motorizzata e di due reggimenti corazzati forniti di 754 carri armati, 810 pezzi d'artiglieria, 300 cannoni controcarro e le terribili Katiuscie, razzi multipli piazzati su autocarri. Inoltre i MIG, i famosi caccia sovietici, attaccavano di continuo dall'alto ed in tutto effettuarono 4177 sortite a volo radente: di aerei italiani neanche l'ombra. Si aggiunga la disperata condizione fisica in cui versavano i singoli soldati italiani, che non avevano un equipaggiamento adatto a quel clima. Il secondo corpo d'Armata era completamente annientato e altre divisioni, arretrando precipitosamente, riuscirono a creare una linea di difesa alcuni chilometri più a sud. Gli obiettivi dei sovietici erano la città di Karkov, il bacino industriale del Donetz e l'accerchiamento da nord dei tedeschi sul Don che supportavano la 6a armata che assediava Stalingrado.
La ritirata dalla Russia
Già il 18 dicembre, in un incontro al vertice in Germania, Ciano prospetta l'eventualità di un armistizio con l'Urss, ma Hitler rifiuta. Il 19 dicembre del '43, nella valle del Don, viene dato alle truppe italiane l'ordine di ripiegamento: inizia la drammatica ritirata dell'Armir. A metà gennaio avvenne sul Don lo sfondamento definitivo e anche il corpo d'armata alpino e la divisione Vicenza, ultimi baluardi italiani ancora praticamente intatti, si sfasciarono. Ma dovettero aspettare a lungo fermi nelle loro posizioni perché l'ordine di ripiegamento, che doveva provenire direttamente dagli alti comandi tedeschi, tardava. Il 26 gennaio, in piena ritirata, a Nikolajewka ci fu una sanguinosa battaglia per lo sfondamento dell'ultimo sbarramento sovietico: morirono dai quattro ai seimila soldati.
Perdite dell'Armir
Di 229.000 soldati italiani inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Mancarono all'appello 84.830 uomini di cui 10.030 furono restituiti dall'Urss. Il totale delle perdite ammontò a 74.800 uomini. Molti di loro, in base ai documenti scoperti di recente negli archivi del Pcus, morirono di stenti nei campi di prigionia russi.
Lo sbarco in Sicilia (luglio 1943)
Alla vigilia dello sbarco le forze italiane impegnate in Sicilia assommavano a 170.000 uomini con 100 carri armati, mentre i tedeschi erano 28.000 con 165 carri. La superiorità aerea degli Alleati era assoluta e quella della marina totale poiché la nostra flotta, benché numerosa e potente, era rintanata nei porti di Taranto e di La Spezia. Da parte loro, gli Alleati prevedevano di impegnare nell'operazione Husky, come veniva indicato in codice lo sbarco in Sicilia, 1375 navi da guerra e da trasporto, 1124 mezzi da sbarco, 4000 aerei e circa 160.000 uomini con 600 carri armati e 800 camion. La superiorità alleata era dunque schiacciante. Fin dalle prime ore dello sbarco contro la Sicilia sarebbe stata scaraventata una forza immane, imbarcata su una flotta di cui mai, nella sua storia millenaria, il Mediterraneo aveva visto l'eguale.
Preliminare necessario allo sbarco era considerata l'occupazione di Pantelleria che l'opinione pubblica italiana, suggestionata dalla propaganda, era abituata a considerare una specie di Malta, cioè una base quasi inespugnabile.
Alle 11,30 del giorno 11 gli Alleati sbarcano a Pantelleria senza incontrare resistenza. Il giorno successivo si arrende anche la guarnigione di Lampedusa. L'episodio di Pantelleria resta peraltro abbastanza oscuro: l'isola aveva acqua e munizioni per resistere ben più a lungo di quanto effettivamente fece e da un'inchiesta giudiziaria istruita nel dopoguerra risultò che si arrese appena apparvero le prime navi alleate. Una difesa, insomma, non sarebbe stata neppure tentata.
L'attacco a Pantelleria e a Lampedusa rivelò, ormai senza ombra dì dubbio, che il prossimo obiettivo degli Alleati sarebbe stata la Sicilia. La località degli sbarchi restava però ignota. I tedeschi pensavano alla Sicilia occidentale; gli italiani ritenevano invece più probabile uno sbarco nella Sicilia orientale, nella zona dove effettivamente avvenne.
Venne adottata una soluzione di compromesso che si sarebbe rivelata inefficiente e al limite disastrosa.Ai primi di luglio dei 1943 tutto era pronto nel campo alleato. Lo sbarco in Sicilia, considerato dagli storici un episodio secondario, rappresentò in realtà il primo attacco a quella «fortezza Europa» che Hitler pensava di avere reso inespugnabile. Esso fu anche la prima operazione anfibia effettuata dagli Alleati e, come tale, fu una specie dì prova generale dell'operazione Overlord, lo sbarco in Normandia.
Lo sbarco
La notte del 9 luglio la 7^ armata statunitense, al comando del gen. George S. Patton, e l’8^ armata inglese del gen. Bernard Law Montgomery, a bordo di circa 3000 natanti, salpano dai porti della Tunisia alla volta della Sicilia (le due armate fanno parte del XV Gruppo di armate comandato dal gen. Alexander). La difesa della Sicilia è affidata alla 6^ armata italiana del gen. Alfredo Guzzoni, in cui militano agguerriti contingenti tedeschi di rinforzo.
13400 paracadutisti, del colonnello americano James M. Gavin comandante l’82^ divisione aviotrasportata, finiscono con il disperdersi su una area vastissima rendendo scarsamente efficace l’intervento. Intanto la navigazione delle unità che trasportano le forze da sbarco prosegue tra gravi difficoltà: il vento impetuoso e il mare agitato mettono a dura prova i fanti alleati.
Alle prime luci dell’alba del 10 luglio nizia lo sbarco alleato sull’isola (operazione “Husky”): 160.000 uomini con 600 carri armati mettono piede sulla costa sud-orientale della Sicilia, gli americani nel Golfo di Gela, gli inglesi di Montgomery nel Golfo di Siracusa. Gli sbarchi avvengono senza troppe difficoltà grazie al preciso e intenso fuoco di copertura delle navi e perché i difensori non si aspettano uno sbarco in quelle condizioni meteorologiche, durante le operazioni, caccia anglo-americani decollati da Malta e Pantelleria sorvolano in formazione i punti dello sbarco per respingere eventuali contrattacchi dell’Asse. Mentre l’8^ armata inglese non trova praticamente resistenza e i suoi reparti nella notte entrano a Siracusa. Gli scontri termineranno solo alle 14 del 12 luglio, con la ritirata degli italo-tedeschi. Alla fine gli americani catturano 18.000 prigionieri ma perdono, tra morti e feriti, un migliaio di uomini. La conquista della Sicilia da parte degli Alleati sarà completata in 39 giorni, il 17 agosto del 1943, con l'occupazione di Messina e la ritirata delle truppe italo-tedesche in Calabria.