quarta di copertina da "I Simpson e la filosofia"

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venerdì 10 agosto 2007

JOHN STUART MILL

JOHN STUART MILL
indice:
Vita e opere
La logica
Sociologia, psicologia e politica
Morale e religione
Ultime riflessioni sulla conoscenza
Utilitarismo delle norme
La schiavitù delle donne

VITA E OPERE
La connessione tra positivismo e utilitarismo appare evidente in John Stuart Mill ( 1806-1873), figlio di James Mill. Pur non volendo essere definito positivista il giovane Mill nutrì sempre una grande attenzione per le opere di Comte con il quale rimase a lungo in corrispondenza, fino a che i due non interruppero la loro relazione epistolare per ragioni politiche. All'insegnamento del padre sono invece imputabili le sue convinzioni associazionistiche, soprattutto la sua adesione ai principi dell'utilitarismo etico e sociale. Tanto dalla tradizione positivista quanto da quella utilitaristica, Mill derivava inoltre un atteggiamento di sospetto nei confronti della metafisica, assumendo posizioni assai distanti da quelle dei tardo-romantici Coleridge e Carlyle , ampiamente debitori nei confronti della tradizione tedesca. Tuttavia la lettura di questi "metafisici" inglesi lo aiutò a dare una riformulazione dell'utilitarismo in una prospettiva filosofica più ampia: in particolare, in in uno scritto su Bentham del 1833, egli critico il principio di Bentham ( ripreso anche da James Mill ) per cui lo stesso altruismo avrebbe una radice egoistica. Da Bentham e dal padre John Stuart Mill ereditò anche la passione per la politica e l'orientamento radical-liberale. Collaborò attivamente alla "London and Wenstminter Review", fondata da Bentham e, dopo aver lavorato nella Compagnia delle Indie Orientali, si dedico alla politica attiva tentando tra l'altro, di raccogliere in un nuovo partito radicale tutti gli oppositori dei conservatori - tories - ma il progetto non fu portato a termine. Conseguentemente Mill si ritirò dalla politica, dedicandosi interamente agli studi. Nel 1848 uscì il suo capolavoro, il Sistema di Logica deduttiva e induttiva . Seguirono i Principi di economia politica (1848) Sulla libertà (1859) Utilitarismo (1863), La schiavitù delle donne (1869) i Tre Saggi sulla religione , usciti postumi nel 1874. Il confronto con i filosofi del suo tempo lo indusse a scrivere il già citato Saggio su Bentham, uno Scritto su Auguste Comte e il Positivismo e un Esame della filosofia di Sir W. Hamilton, entrambi del 1865. Importante, per le informazioni che contiene, anche la sua Autobiografia
LA LOGICA
L'opera fondamentale di John Stuart Mill è il Sistema di logica deduttiva e induttiva . La logica per Mill è la "scienza della prova e dell' evidenza". Essa non si occupa delle verità che ci sono note per coscienza immediata, come le sensazioni corporee, i sentimenti o gli stati mentali, ma concerne soltanto le conoscenze derivate da altre conoscenze "per via di inferenza ", verifica, cioè la validità della connessione tra più proposizioni all'interno di un ragionamento. In altri termini, la logica non si preoccupa di indagare la natura delle cose, ma si limita ad organizzare i dati di esperienza in forma scientifica. Alle spalle delle ricerche logiche di Mill vi è quindi una sostanziale adesione ai principi dell'empirismo e del positivismo , La prima operazione della logica è quella della denominazione, cioè dell'attribuzione di nomi alle cose ( non già, lockianamente, alle idee). Il linguaggio è uno strumento del pensiero prima ancora che della comunicazione: pertanto ogni indagine logica deve iniziare con un'analisi del linguaggio. E' in questo quadro che m introduce una famosa distinzione - ripresa poi, in diverso modo, da Frege - tra termini denotativi ( o non connotativi) e termini connotativi. Si ha denotazione quando un termine indica semplicemente un oggetto, senza riferimento ad alcuna sua proprietà o attributo. Ad esempio sono termini denotativi tutti i nomi propri. Quando dico "Giovanni, Paolo o Pietro", indico semplicemente un individuo preciso, senza dare alcuna informazione che lo caratterizzi. Sono invece termini connotativi quelli che indicano una o più proprietà relative ad un soggetto. Tali sono gli attributi: quando dico "bianco" o "razionale" indico la qualità che caratterizza un determinato soggetto. Ma sono termini connotativi anche i nomi comuni, i quali, oltre a denotare i singoli individui, implicano anche l'indicazione delle loro qualità: ad esempio il termine uomo denota i singoli individui umani, ma connota anche le qualità (razionalità, corporeità, una certa forma esteriore, ecc.) che appartengono loro in quanto umanità. Questa distinzione è rilevante non soltanto per la classificazione dei nomi, ma anche per quella delle proposizioni che derivano dalla composizione dei nomi. Quando un predicato esprime un concetto che è già connotato dal soggetto, la proposizione che risulta non fornisce alcuna nuova informazione. Ad esempio, quando dico che gli uomini sono razionali, non amplio la mia conoscenza, perché la nozione di razionalità è già contenuta in quella di uomo. In questo caso si parla di proposizioni verbali che, analogamente ai giudizi analitici di cui parlava Kant, sono necessarie ma improduttive. Nelle proposizioni reali , invece, il predicato esprime una connotazione che non era contenuta nel soggetto e quindi si ha un vero - reale, appunto, - ampliamento della conoscenza. Ovviamente la distinzione tra la verbalità e la realtà riguarda non soltanto le singole proposizioni ma anche la loro connessione e quindi investe il problema dell' inferenza ovvero, nel senso assai ampio che Mill dà a questo termine, del ragionamento. Affinché si abbia una vera inferenza - cioè affinché il ragionamento apporti conoscenza- occorre che la proposizione conclusiva sia "contenutisticamente" diversa da quella di partenza e non una semplice trasformazione verbale di essa. Ma quali sono gli strumenti logici per garantire ciò ? La logica tradizionale individuava due strade: o l'inferenza dal generale al particolare attraverso la deduzione e quindi il sillogismo (inteso come forma fondamentale della deduzione) o l'inferenza dal particolare al generale attraverso l'induzione. Mill intende mostrare che esiste una terza strada che sta a fondamento di entrambe le vie tradizionali: l'inferenza avviene sempre dal particolare al particolare. Iniziamo con l'analisi del sillogismo, utilizzando il tradizionale esempio: "Tutti gli uomini sono mortali . Socrate è un uomo. Dunque Socrate è mortale" . Se viene inteso come dimostrazione di tipo deduttivo, cioè se la conclusione "Socrate è mortale" viene dedotta dalle premesse, come il sillogismo pretende, esso comporta necessariamente una petizione di principio , cioè contiene già nelle premesse ciò che si deve dimostrare nella conclusione. Infatti nella premessa maggiore "Tutti gli uomini sono mortali" è già detto che Socrate è mortale, poiché nell'espressione "Tutti gli uomini" è compreso anche Socrate. Tuttavia il sillogismo può presentare qualche valore se non lo si considera soltanto un procedimento deduttivo. In altre parole, la premessa maggiore tutti gli uomini sono mortali non deve essere considerata il punto di partenza del ragionamento, ma piuttosto il punto di arrivo di una serie di osservazioni particolari. Poiché sperimento che Tizio è mortale, Caio è mortale, Sempronio è mortale, posso pensare che anche Socrate sia mortale e che tutti gli uomini lo siano. In altri termini, la proposizione principale ( quella che ritenevo una premessa maggiore) è una formula compendiosa di osservazioni particolari che è però espressa in termini generali, così da poter essere applicata anche a particolari non ancora osservati. In questo modo le proposizioni generali non sono che il momento intermedio di un ragionamento che va dal particolare al particolare, aggiungendo alla serie dei particolari osservati il particolare cui si applica la conclusione. E, a riprova del fatto che nell'inferenza il passaggio fondamentale è quello che va dal particolare al particolare e non quello che coinvolge l'universale, Mill osserva che i bambini e gli animali sono in grado di fare inferenze senza passare attraverso la formulazione di proposizioni generali: una volta scottati, essi non si avvicineranno più alla fiamma, pur senza formalizzare il principio generale secondo cui il fuoco brucia. La tesi di Mill per cui ogni inferenza parte dall'osservazione dei casi particolari poggia sull'assunto che ogni nostra conoscenza ha un'origine empirica. Tutte le nostre generalizzazioni sono soltanto formule derivate da rassegne di casi particolari, testimoniati dall'esperienza. Le stesse verità della matematica sono conseguite attraverso generalizzazioni di questo genere: alla loro base vi sono, comunque, sempre esperienze particolari. Gli oggetti della matematica, infatti, non sono diversi da quelli empirici, ma sono gli stessi oggetti empirici considerati facendo astrazione da alcune loro qualità: per esempio il punto geometrico è un punto empirico in cui si astrae dall'estensione, così come nella linea si fa astrazione dall'aspetto delle lunghezza, e così via. Dalla critica che Mill conduce al sillogismo - dall'osservazione di casi particolari si ricava una proposizione generale che sta a fondamento di una nuova proposizione particolare - si evince che l'inferenza si fonda non tanto sulla deduzione, quanto sull'induzione. Ora il procedimento induttivo che amplia la nostra conoscenza non è mai l'induzione perfetta, cioè quella in cui si considerano tutti i casi relativi ad una certa classe: in questo caso, infatti, non c'è un vero aumento di conoscenza e l'operazione conoscitiva, di puro carattere analitico, si riduce ancora una volta a una "trasformazione verbale". Per esempio, se dico: "Pietro (l'apostolo) era ebreo, Paolo era ebreo, Giovanni era ebreo" e così via, fino ad enumerare tutti i dodici apostoli, per concludere "quindi tutti i dodici apostoli erano ebrei" in realtà la conclusione non aggiunge nulla di nuovo alle affermazioni sui singoli individui e non è che una riformulazione verbale. Diverso è il caso della induzione imperfetta, che Mill chiama tradizionalmente induzione per enumerazione semplice . In questo caso, dall'osservazione di un certo numero di casi particolari si inferisce una qualità che è relativa a tutti gli individui appartenenti a quella classe, anche a quelli che non sono caduti sotto la mia esperienza. Così avviene quando affermo: "Tizio è mortale, Caio è mortale, Sempronio è mortale, quindi tutti gli uomini sono mortali." Procedendo da particolare a particolare, io conseguo un'informazione su una qualità dell'intera classe che non mi è ancora testimoniata dall'esperienza. Ma è proprio questo ampliamento della conoscenza che può rendere problematica la giustificazione della validità dell'induzione. Se sperimento solo un certo numero di casi individuali, come posso essere sicuro che le osservazioni fatte per essi valgano anche per tutti gli altri casi non verificati ? Per secoli gli europei hanno creduto che tutti i cigni fossero bianchi, perché non avevano mai visto un cigno nero. In altri termini: se procedo sempre da particolare a particolare, che cosa garantisce la validità della generalizzazione, cioè del passaggio dal particolare al generale ? Mill ritiene che esista un criterio per avvalorare questo passaggio e lo ritrova nel principio dell'uniformità della natura , il quale trova a sua volta la sua migliore espressione nella legge di causalità necessaria. Possiamo estendere alla totalità dei casi di una determinata classe le affermazioni fatte in base all'osservazione di un numero limitato di essi poiché supponiamo che la natura sia ordinata da leggi, per cui a una condizione naturale debba necessariamente seguire un altro stato altrettanto determinabile. Tuttavia, è Mill stesso ad osservare che tale principio lungi dall'essere indipendente da ogni induzione è anch'esso il risultato di un'induzione cioè di una generalizzazione di casi particolari. Ci troviamo quindi di fronte a quella che a molti è apparsa una petizione di principio di principio, in quanto l'induzione trova il proprio fondamento nel principio dell'uniformità della natura, il quale, a sua volta, si fonda su un procedimento induttivo.
SOCIOLOGIA, PSICOLOGIA E POLITICA
L'uniformità delle leggi della natura ha come conseguenza immediata la possibilità di prevedere eventi futuri in base a quelli passati. "Noi crediamo" egli scrive nel Sistema di logica "che lo stato dell'intero universo, ad ogni istante sia la conseguenza dello stato di esso all'istante precedente, cosicchè uno che conosca tutti gli agenti che esistono al momento presente, la loro collocazione nello spazio e tutte le loro proprietà - in altre parole le leggi della loro azione - potrebbe predire l'intera storia seguente dell'universo". Accogliendo pienamente l'assimilazione positivistica delle scienze dell'uomo a quelle della natura Mill estende il principio delle prevedibilità degli eventi futuri dall'ambito dei fenomeni naturali a quello delle azioni umane. Conoscendo il carattere dell'individuo e gli specifici moventi che agiscono in lui, è possibile determinare con certezza quale sarà la sua condotta futura. La scienza cui è affidato questo compito di previsione delle azioni umane, che dovrebbero poter essere determinate con la stessa precisione con cui l'astronomia predice i movimenti celesti è la psicologia . L'affermazione della necessità e della conseguente prevedibilità delle azioni future non va tuttavia confusa con l'affermazione della loro fatalità. La necessità delle azioni umane implica esclusivamente che tra determinati moventi e determinate azioni ci sia una correlazione costante, la quale, dati i primi, rende possibile prevedere le seconde. La fatalità provocherebbe invece che alla radice delle azioni umane ci fossero cause che agissero coercitivamente , costringendo l'uomo ad obbedire ad una legge a lui estranea. In altri termini Mill ritiene che l'affermazione della necessità filosofica dei comportamenti umani cioè la loro prevedibilità in base a leggi universali, sia pienamente conciliabile con quella della libertà dell'uomo. Se la psicologia si occupa della previsione delle azioni individuali la sociologia concerne la determinazione delle regolarità nei comportamenti collettivi e, di conseguenza, la previsione degli eventi sociali futuri. Da Comte Mill mutua la concezione della scienza sociologica in termini di fisica sociale, nonché il concetto di progresso come criterio dell'evoluzione della società anche da lui studiata nel suo aspetto dinamico oltre che in quello storico. Una volta determinata la legge del progresso storico sarà possibile determinare la serie degli eventi futuri, così come nell'algebra è possibile sviluppare l'intera serie dei termini in base alla conoscenza del rapporto intercorrente tra alcuni di essi. La posizione di Mill diverge invece nettamente da quella di Comte per quanto riguarda la concezione dell' economia e della politica , analizzata nei Principi di economia politica . Egli distingue tra le leggi della produzione economica che, come tutti gli altri fatti sociali obbediscono al principio della necessità naturale e le leggi della distribuzione che dipendono dalla volontà umana. Il diritto e il costume possono quindi modificare le regole distributive promuovendo una più equa allocazione dei beni e delle ricchezze. Mill auspica infatti una serie di riforme che si ispirino al criterio utilitaristico del maggior benessere possibile e per il maggior numero di individui. Tra l'altro egli è fautore di una maggiore parificazione sociale dei sessi, della partecipazione dei lavoratori all'impresa, dell'allargamento del diritto di voto, nonché della fondazione di cooperative di produzione. L'utilitarismo si sposa in lui con l'altruismo - e in questo ritorna un suggerimento comtiano -dal momento che egli ritiene faccia parte della felicità di un individuo la promozione di quella degli altri: incrementare la felicità altrui è infatti una delle maggiori causa del proprio piacere. Se l'esigenza di giustizia consente a Mill di apprezzare qualche merito del socialismo, il riconoscimento del valore intangibile della libertà fa di lui un radicale oppositore di questa dottrina. In politica come in economia, M è attestato su posizioni di liberalismo radicale . Il suo pensiero economico-politico è sempre inteso alla valorizzazione dell'individuo e alla difesa degli spazi di libertà senza i quali nessuna iniziativa individuale può fiorire. Nel Saggio sulla libertà egli pone alla base dell'ordinamento dello Stato la libertà civile che si distingue in tre determinazioni: 1) la libertà di coscienza, di pensiero e d'espressione ; 2) la libertà di perseguire la felicità secondo il proprio gusto; 3) la libertà di associazione. Di conseguenza, Mill è assolutamente contrario ad ogni intervento dello Stato nella vita economica e sociale della nazione. Le intromissioni dell' autorità pubblica nella sfera privata possono essere ammesse soltanto laddove si tratti di difendere la lesione dei diritti di un individuo da parte degli altri. Il suo liberalismo non gli impedì tuttavia - come si è appena detto - di nutrire un forte sentimento sociale e di adoperarsi, sia pure su base individualistica, per una maggiore cooperazione e solidarietà tra le diverse componenti della società.
MORALE E RELIGIONE
L' etica di John Stuart Mill é basata sull' utilitarismo mutuato da Bentham attraverso la mediazione del padre James Mill. A fondamento della morale sta, anche per lui, il principio dell'utilità, cioè della massima felicità per il maggior numero possibile di persone. Mill rivendica come propria l'invenzione del termino 'utilitaristico', che però in realtà era già stato impiegato, anche se con un'accezione lievemente diversa, da Shaftesbury. Rispetto alle formulazioni di Bentham e del padre James, John apporta alcune importanti modifiche, insistendo in particolare sulla necessità di una determinazione qualitativa dei piaceri , in opposizione al calcolo puramente quantitativo di Bentham, in modo da garantire la superiorità dei piaceri intellettuali e morali su quelli puramente sensibili. Per quel che concerne la religione , Mill sostiene che essa sia riconducibile all'ambito dell'esperienza ed é perfettamente conciliabile con la conoscenza scientifica del mondo. L'ordine cosmico rinvenibile nel mondo, anche in base a considerazione scientifiche, presuppone infatti una causa intelligente che agisce in vista di uno scopo. Questo non vuol dire però che il fautore del mondo sia onnipotente: la presenza di un disegno nella creazione presuppone anzi la commisurazione dei mezzi al fine, e il necessario ricorso ai mezzi rivela, a sua volta, una limitazione della capacità creatrice. L' Essere da cui il mondo dipende deve essere piuttosto concepito come un Demiurgo finito: la sua potenza é limitate dalle sue intrinseche possibilità e dalla materia, da sempre esistente, sulla quale egli opera; già in Platone era presente l'idea che la materia fosse l'origine dell'imperfezione. Di conseguenza, gli uomini non possono attendersi ogni cosa dalla provvidenza divina, ma devono piuttosto collaborare con la divinità per il perfezionamento del mondo.
ULTIME RIFLESSIONI SULLA CONOSCENZA
Tra le ultime opere di John Stuart Mill va anche annoverato l' Esame della filosofia di Sir William Hamilton , in cui sono esposte le più mature riflessioni milliane sul problema della conoscenza; William Hamilton aveva formulato una teoria della conoscenza nella quale la dottrina del 'senso comune', derivata dalla Scuola scozzese, veniva stranamente congiunta con sviluppi del trascendentalismo kantiano. Infatti, pur ritenendo che la conoscenza sia data dalla percezione immediata, egli sosteneva che l'oggetto percettivo non é la realtà come é in se stessa, bensì come é modificata dalla sua relazione con i nostri organi conoscitivi. Hamilton perveniva quindi all'affermazione della 'relatività della conoscenza'. La realtà in sè, l' Assoluto dal quale la conoscenza sensibile scaturisce, é infatti completamente inconoscibile: di esso, si può soltanto affermare l'esistenza per mezzo di un atto di fede. Mill invece afferma, in accordo con la tradizione legata a Hume, che ' ogni nostra conoscenza é conoscenza di idee ', le quali non hanno nessun rapporto con una realtà estrinseca alla sfera della rappresentazione. L'intero processo conoscitivo si risolve dunque nell' ' associazione di idee ' , secondo quanto avevano insegnato, oltre allo stesso Hume, James Mill e Hartley. John Stuart Mill non nega però una relativa autonomia della realtà esterna rispetto alle nostre rappresentazioni mentali, sebbene la riconduca entro la nozione di possibilità : il mondo esterno infatti é ' il mondo delle sensazioni possibili che si succedono le une alle altre secondo una legge '. Analogamente, l'Io soggettivo non si risolve nella successione degli stati mentali, ma viene concepito come 'possibilità permanente di sentimenti '.
UTILITARISMO DELLE NORME
Influenzato dall’utilitarismo di Jeremy Bentham, Mill è convinto che, accanto ai piaceri di natura fisica, ne esistano altri, spirituali e intellettuali: questi, almeno per il dotto, hanno intensità decisamente superiore rispetto ai primi. In questo modo, Mill abbandona la “quantificazione del piacere” (il piacere è quantificabile soltanto se riferito alla sensibilità) e arriva a sostenere apertamente la natura qualitativa dei piaceri. Anch’egli, come gli altri utilitaristi, è convinto che il motore dell’agire umano sia il piacere, inteso però in maniera qualitativa: viene così a cadere l’accusa di quanti liquidavano l’utilitarismo come mera riproposizione dell’etica epicurea. Su questa scia, Mill distingue attentamente tra “soddisfazione” (della quale si accontentano gli animali) e “felicità”, tipica degli uomini e caratterizzata da un senso di realizzazione implicante la soddisfazione di piaceri intellettuali. Mill critica Bentham accusandolo di non aver considerato i piaceri intrinsecamente, ma sempre solo per le loro conseguenze contingenti. L’introduzione dell’elemento qualitativo fa sì che la matematizzazione dei piaceri operata da Bentham sia impossibile: la conseguenza è che la valutazione dei piaceri qualitativamente intesi sfugge alla calcolabilità e al cognitivismo etico; l’utilitarismo dell’azione di Bentham cede il passo ad un utilitarismo della norma. Quest’ultimo mantiene il principio per cui le azioni devono essere valutate in base alle conseguenze, ma nella consapevolezza che, perché ciò sia possibile, si debbano impiegare regole accumulate tramite esperienze pregresse. Questa mossa teorica permette a Mill di difendersi dall’accusa tradizionalmente mossa all’utilitarismo, accusa secondo la quale esso sarebbe inapplicabile perché destinato a rimanere in un’insuperabile condizione di attesa di verifica delle conseguenze di ogni azione. Le norme con cui secondo Mill deve operare l’utilitarismo gli permettono di evitare le secche dell’attesa inattiva e, al tempo stesso, gli forniscono criteri operativi alternativi all’algebra dei piaceri. Queste norme sono, in definitiva, il risultato dell’esperienza che l’uomo ha storicamente fatto a partire dalla preistoria per arrivare fino ad oggi. Con l’utilitarismo delle norme diventa però difficile riconoscere quali siano le azioni positive, nella misura in cui il piano del piacere è passato al piano qualitativo e soggettivo e investe tutta un’esperienza storica. A questo punto, Mill introduce il senso del dovere come componente interna all’uomo che lo esorta ad agire in un determinato modo: è infatti il senso del dovere che fa sì che io valuti come positiva un’azione sulla base del patrimonio storico sedimentato nella mia coscienza. Tale senso del dovere non deve essere confuso con l’imperativo categorico kantiano, che prescinde dalle determinazioni storiche e ha un valore assolutamente aprioristico: il senso del dovere di cui dice Mill ha una sua storia, si basa sull’utile, proviene da un sentimento poggiante su tutte le esperienze passate tradottesi in dimensione coscienziale. In questo modo, Mill si sta avvicinando inaspettatamente al “sentimento morale” di Hutcheson, secondo il quale vi sono azioni che dispiacciono immediatamente al mio sentimento morale e vanno perciò incontro a una condanna morale.
La schiavitù delle donne

Un’opera di John Stuart Mill, intitolata La schiavitù delle donne (1869), che rivela un uomo profondamente convinto della parità del valore dei sessi. Nella sua Autobiografia, Stuart Mill dichiara apertamente che “le parti più incisive e profonde appartenevano a mia moglie e provenivano dalle idee, ormai comuni ad entrambi, scaturite dalle innumerevoli conversazioni e discussioni su un argomento che occupava un così ampio spazio nelle nostre riflessioni” (cfr. Autobiografia, trad, it., p. 207).
Stuart Mill sostiene che la sottomissione delle donne agli uomini è uno dei principali ostacoli al progresso umano. Ci dovrebbe essere invece una perfetta uguaglianza, senza potere o privilegio da parte di un sesso sull'altro. A chi obietta che è naturale che le donne siano sottomesse agli uomini, risponde dicendo che è un'idea priva di fondamento, anche perché, aggiunge con una logica stringente, se si sostiene che la dottrina dell'eguaglianza dei sessi si fonda soltanto sulla teoria, va ricordato che la dottrina contraria ha anch'essa la medesima base! Il sistema attuale che subordina il cosiddetto “sesso debole” a quello cosiddetto forte è sorto perché, dagli albori della società umana, ogni donna si era trovata in balìa di qualche uomo. Non basta: leggi e sistemi politici hanno convertito un puro e semplice fatto fisico in un diritto legale, imprimendovi la sanzione della società. Il matrimonio è il destino che la società assegna alle donne, l'avvenire al quale si educano e la mèta verso cui tutte dovrebbero incamminarsi, tranne quelle troppo poco attraenti per essere scelte da un uomo quali sue compagne. “Mi piacerebbe, dice Stuart Mill, udire qualcuno che enunci apertamente questa dottrina: è necessario per la società che le donne si sposino e facciano figli. Ma non lo farebbero se non vi fossero costrette. Pertanto è necessario obbligarvele” (p. 54). È dunque un egoismo istintivo, di cui gli uomini si sono serviti per tenerle in soggezione, facendo apparire alle donne la dolcezza, la sottomissione e la remissione di ogni volontà individuale all'uomo come un aspetto essenziale dell'attrattiva sessuale. Insomma, un essere umano per il solo fatto di essere nato maschio invece che femmina ha acquisito un diritto di superiorità su ciascun membro dell'altra metà della specie. E non giova neppure sostenere che la natura dei due sessi li destina a posizioni da una parte di dominio e dall'altra di sottomissione Certamente le donne sono diverse dagli uomini, ma differenze fisiche o mentali sono presenti anche nei maschi: non esistono due persone uguali! “Io nego, continua Stuart Mill, che qualcuno possa conoscere la natura dei due sessi, visto che quella che viene oggi chiamata la natura delle donne è un prodotto altamente artificiale: il risultato di una repressione forzata in alcuni casi, di una stimolazione innaturale in altri” (pp. 43-44). E si permette anche una battuta: se la situazione più favorevole in cui l'uomo può studiare il carattere di una donna è per forza di cose quella coniugale, allora siamo destinati ad avere una conoscenza del tutto imperfetta e superficiale dell'universo femminile, visto che ogni uomo può rendere conto di una donna soltanto! (p. 48-50).
Qual è allora la soluzione? Vivere insieme come eguali. In fondo, è lo stesso mondo moderno che ce lo chiede: qual è infatti il carattere peculiare del nostro tempo? (Badate che il filosofo inglese parlava a metà dell'Ottocento) È che gli esseri umani non nascono più nel posto che occuperanno tutta la vita, non vi restano incatenati da un vincolo indissolubile, ma sono liberi di impiegare le loro facoltà, e di sfruttare le circostanze favorevoli che si offrono, per inseguire il destino che appare loro più desiderabile. Ma se è vero, dovremmo agire di conseguenza e non decretare che nascere femmina anziché maschio, nero anziché bianco, popolano anziché nobile, debba decidere la posizione di una persona per tutta la vita. C'è però un'altra conseguenza: una perfetta eguaglianza comporta anche l'ammissione delle donne a tutte quelle funzioni ed occupazioni che finora erano ritenute monopolio del cosiddetto “sesso forte”, altrimenti che eguaglianza sarebbe?. Tutto ciò non deve fare paura agli uomini: vi sarebbe anzi un beneficio evidente, che è quello di raddoppiare la massa di capacità mentali per gli scopi più elevati dell'umanità! Insomma, se uomini e donne lavorassero insieme il genere umano progredirebbe più in fretta e meglio.