sabato 25 ottobre 2014

QUANDO è COMINCIATO IL XX SECOLO? LE OPINIONI DEGLI STORICI


Storia e periodizzazione
 
«La data è comoda ma nella comodità sta la verità». (H. Adams)1
 
Come ha osservato giustamente Charles Maier i nostri ritmi spirituali sembrano avere una cadenza secolare. Quella che è una partizione temporale convenzionale diventa un dato storico nel momento in cui modifica la auto-definizione che di sé danno gli uomini. Inutile scomodare il passaggio al primo millennio, per mettere in evidenza il carico di aspettative o di timori che accompagna alcuni passaggi temporali. Sotto un profilo psicanalitico la fine dell'anno o del decennio, o la nascita del nuovo, ancora di più il passaggio da un secolo all'altro diventano metafore della morte e della rinascita, come ha ricordato Adrian Lyttleton in un recente scritto2. Leonardo Paggi ha osservato che la periodizzazione si configura come «ricerca della nostra identità di contemporanei»: Anche in questo più antico ed elementare tentativo di scansione del tempo - i cento anni [...] - c'è a ben guardare una ricerca, quasi un’ansia di orientamento tutt'altro che esteriore. Qualsiasi sforzo di periodizzazione, ben lungi dall'essere un astratto esercizio intellettuale, risponde in effetti a un profondo bisogno esistenziale: quello di portare un ordine nelle coordinate spazio-temporali che definiscono le condizioni della nostra esperienza di vita. Dalla specificità del nostro essere nel mondo si diparte insomma qualsiasi tentativo di organizzazione della temporalità. E' in fondo questo il significato vero della tesi quasi heideggeriana della inevitabile contemporaneità della storia avanzata da Croce all'inizio del secolo, nel contesto di una cultura europea già profondamente impegnata a riflettere sui rapporti tra tempo, esperienza, memoria e storia.3
Queste sono alcune delle motivazioni per cui siamo convinti che se lo scopo, il valore, di ogni periodizzazione è soprattutto didattico e espositivo, al tempo stesso in essa vi sia qualcosa di più, un elemento che affonda le radici sia nella coscienza dei contemporanei e nella loro idea del tempo che stanno vivendo (e quindi con alcune scelte che sono derivate da questo "ritmo spirituale"), sia nel modo in cui viene organizzato il discorso storiografico che - in ultima analisi - è sempre un esercizio di periodizzazione, è sempre elaborazione secondo una certa gerarchia d'importanza dei dati raccolti.
Il discorso storico, dunque, presuppone sempre una periodizzazione sia che si muova nella prospettiva della "lunga durata" o del "tempo breve", sia che si scelga un piano d'indagine che privilegi la diacronia, ovvero la discontinuità, sia che si privilegi, al contrario, la sincronia, cioè la continuità4. Una grande parte della storiografia - a partire dalla scuola delle Annales5 - si è battuta nel secondo dopoguerra per il superamento di una storiografia événementielle, incentrata sui grandi fatti e sui grandi personaggi. Da una concezione della storia fino ad allora intesa prevalentemente come storia politica si è passati ad una storia dei grandi processi plurisecolari, da una storia della cultura intesa solo come alta cultura si è passati all'attenzione verso le "culture basse", le "mentalità", la "civiltà materiale", ecc. Tutta una serie di complessi documentari, sottratti all’inizio ai confini disciplinari della storia, sono stati scoperti e valorizzati, all’interno di una vera e propria "rivoluzione documentaria" che ha avuto come cardine concettuale la famosa frase di Lucien Febvre secondo cui tutto quello che si riferisce all’uomo è fonte per lo storico. In altre parole, a una storiografia attenta al mutamento, ai grandi personaggi ecc., se ne è contrapposta un'altra attenta alla "lunga durata", al "tempo lungo" dei processi storici. Gli esiti di questa "rivoluzione storiografica" non sono stati sempre all'altezza delle premesse, dal momento che talvolta una storiografia fondata unilateralmente sulle fonti seriali, quantitative e attenta prevalentemente alla dimensione "micro" dell'indagine scientifica ha avuto come limite principale proprio quello di perdere di vista il quadro d'insieme e quindi, in ultima analisi, il tempo storico in cui gli argomenti studiati andavano collocati. Tuttavia di questa tendenza storiografica va raccolta l'indicazione a muoversi con estrema cautela nel momento in cui ci accingiamo ad avanzare un'ipotesi di periodizzazione fondata sul tempo "breve" o "medio". Il secolo, in questa visione, si rivela un contenitore troppo angusto.
Se -come abbiamo detto - ogni indagine storica presuppone una periodizzazione, allora risulterà impraticabile analizzare tutte le ipotesi di organizzazione degli eventi e dei processi che la storiografia ha proposto per il XX secolo. Su questo terreno, inoltre, confrontano con processi che tagliano trasversalmente tutte le questioni e che non sempre sono organizzabili secondo scansioni cronologiche nette. Sono quelle, infine, che non perdono di vista quei momenti di discontinuità che comunque, a nostro giudizio, esistono nel "divenire storico".
Venendo più direttamente al '900, non ci soffermeremo sul concetto di secolo o di centuria7, che ha una storia antica e rimanda ai primi tentativi di organizzare criticamente il passato e di definire il presente. Un elemento che va messo in evidenza, anche se può apparire ovvio, è quello per cui il concetto di "secolo" nell'ambito della riflessione storiografica ha acquisito una latitudine che non corrisponde al significato letterale del termine. I "secoli" hanno oltrepassato o, viceversa, hanno accorciato i propri limiti cronologici. Ad esempio lo storico francese Braudel ha usato l'espressione «lungo XVI secolo» per definire il periodo che va dal 1480 al 1620. Come vedremo più avanti anche per quanto riguarda il XX secolo il dibattito sul suo "inizio" e sulla sua "fine" ha fatto registrare posizioni molto distanti. Pur tenendo presenti gli avvertimenti della storiografia del tempo lungo, nonché il pericolo di generalizzazione insito nella nostra sensibilità di contemporanei, ad una prima lettura il XX secolo appare contrassegnato da grandi avvenimenti che gli hanno attribuito una particolare fisionomia. Le due guerre mondiali, la grande crisi del '29 e le sue conseguenze, ecc. ci sembrano ad una prima lettura degli eventi-spartiacque. Molti dei fatti più "evenemenziali" del Novecento, come le guerre mondiali, hanno, di fatto, interagito direttamente con il "tempo lungo". Come valutare - ad esempio – la distruzione da parte dei nazisti della cosiddetta "nazione ebraica" nell'Europa centrorientale, la cui storia affondava nei secoli precedenti?
Del resto molti storici e molti politologi hanno notato come il secolo scorso sia terminato con eventi di enorme portata (crollo dei regimi comunisti a Est, mutamento del modo di produzione in Occidente, nuove tecnologie) e con la piena affermazione di linee di tendenza (come la globalizzazione, il declino del modo di produzione fordista in Occidente, ecc.), tali da prospettare una corrispondenza tra ciclo secolare e divenire storico, tra organizzazione formale del tempo e sviluppo degli avvenimenti. Questa è si va incontro ad un altro ostacolo. A seconda dell'oggetto di indagine che gli storici hanno scelto (che può essere la storia dell'economia, della politica internazionale, dei partiti politici, delle ideologie, ecc.), essi hanno necessariamente operato scansioni diverse nell'epoca contemporanea che hanno a che fare sia con l'oggetto dello studio, sia con la storia del secolo in generale, perché necessariamente l'oggetto di indagine deve essere collocato nel contesto. A seconda della scelta del punto di vista (la storia economica, politica, militare, ecc.) cambia il peso che si dà ad alcuni fattori. L'integrazione tra i due piani della "storia speciale" e della "storia generale" ha portato a risultati fortemente differenziati, anche perché le "storie speciali" si muovono su tempi storici molto diversi (la storia della politica internazionale non ha gli stessi tempi della storia dell'ambiente o di quella dell'economia). Come Charles Maier ha giustamente osservato, le discussioni sulla periodizzazione non concernono tanto le date o i fatti storici presi per se stessi, «quanto le dimensioni del mutamento sociale, culturale e politico che le sottendono […] date particolari privilegiano differenti ordini di trasformazione»6.
Similmente l'esigenza di fare i conti con il "contesto" generale, se è necessario per tutti i settori della storiografia, è ancora più imprescindibile per lo storico dell'età contemporanea, perché se c'è un elemento che ormai si può considerare acquisito per quanto riguarda la storia recente è quello della grande, crescente (sicuramente a partire dalla rivoluzione industriale inglese del XVIII secolo) integrazione tra tutte le parti del mondo, un processo riassumibile nel concetto di "interdipendenza". Quindi, anche quando si affrontano temi specifici come le storie nazionali, ci si deve confrontare con una dimensione internazionale, stabilire dei nessi e analizzare il loro modo di operare. Uno dei problemi principali della maggior parte dei manuali scolastici è proprio quello per cui nell'illustrazione dei vari argomenti si tende in genere a perdere di vista il senso dei processi generali, il loro interagire con le realtà nazionali secondo modalità orizzontali. E quindi si studiano l'Italia, la Germania, gli Stati Uniti, ecc. tralasciando molto spesso di collegare i singoli sviluppi nazionali nel quadro dei rapporti di interdipendenza che esistono tra i vari paesi.
Le indagini storiografiche più convincenti sono quelle in cui si stabiliscono dei nessi tra questi vari piani, che riescono a muoversi su più dimensioni cronologiche, che sia l'idea di fondo di Eric J. Hobsbawm, lo storico che più di altri ha costruito una periodizzazione "compiuta" del secolo, fondata su un'imponente base analitica. In realtà, sono molti i processi che non possiamo legare a date precise e che appaiono fortemente contraddittori. E' il caso del processo di decolonizzazione: alcune di queste nuove nazioni hanno conosciuto il fallimento delle loro strategie di sviluppo (la maggior parte dei paesi africani), altre sembrano incamminate a sostituire l'Occidente come motore dell'economia mondiale (le "tigri asiatiche", la Cina, l'India, ecc.). Inoltre, le linee tra sviluppo e sottosviluppo non corrono più tra le nazioni ma all'interno di esse, centri produttivi all'avanguardia sul piano dell'innovazione tecnologica convivono con enormi sacche di povertà. Insomma, se è difficile avanzare un'ipotesi di periodizzazione che con coerenza tenga conto di tutti i principali fattori, è pressoché impossibile attribuire un significato prevalente dell'epoca che abbiamo appena attraversato senza operare delle forzature. Inquadrare in una prospettiva unidimensionale il '900 risulta fuorviante. Nella temperie politica e culturale degli anni '50, ad esempio, molti storici e personalità della cultura vedevano nella violenza organizzata il dato caratterizzante dell'epoca passata e presente. E' difficile dar loro torto: erano passati pochi anni, dalle due grandi guerre mondiali, dal genocidio del popolo ebraico, dall'avvio dell'era atomica (con Hiroshima e Nagasaki), dagli orrori dello stalinismo ecc. In realtà, alla distanza, una tale definizione ci appare oggi sicuramente corretta, ma non l'unica che possiamo dare al Novecento. Analizzare tutte le periodizzazioni che la storiografia ha proposto sul Novecento costituirebbe un'impresa improba, il cui risultato, data la mole di ricerche, sarebbe un elenco sommario di autori e di opere8. Ci limiteremo, dunque, ad alcune opere di carattere generale che - per diversi motivi - appaiono le più significative nel dibattito attuale. Nei prossimi capitoli cercheremo, dunque, di illustrare la ricerca analitica di alcuni autori i quali, a partire da una considerazione globale dell'età contemporanea, hanno avanzato una proposta di periodizzazione del Novecento. Al centro della nostra trattazione si collocano due interpretazioni, entrambe di storici inglesi, ma pubblicate a distanza di trent'anni l'una dall'altra: quella di Geoffrey Barraclough e quella di Eric Hobsbawm9. Abbiamo poi scelto di approfondire l'analisi attraverso le opere di altri autori particolarmente significativi che propongono periodizzazioni diverse (Arrighi, Maier e Paggi10) o che tentano una sintesi delle ipotesi di lettura dei due storici anglosassoni (Guarracino11). Il quadro delle griglie cronologiche che sono state prospettate è fortemente differenziato, anche se poi, ad una lettura più attenta, emergono alcuni elementi comuni, pur nella diversità delle ipotesi di periodizzazione. Hobsbawm e Guarracino hanno sostenuto l'idea del Novecento come un secolo "breve", cioè compreso tra lo scoppio del primo conflitto mondiale (1914) e la dissoluzione dell'Unione Sovietica (1991). Questa interpretazione ha come pendant l'idea di un "lungo Ottocento" durato fino all'attentato all'arciduca d'Austria a Sarajevo. Maier e Arrighi, al contrario, hanno entrambi proposto l'idea di un "secolo lungo", ma in base a considerazioni per molti aspetti diverse: il primo vede il “secolo lungo” compreso tra il 1850-60 e gli anni ottanta del XX secolo, cioè il periodo che va dalla fondazione alla crisi di un determinato assetto territoriale. Il secondo, invece, considera il "lungo XX secolo" racchiuso tra la grande depressione del 1873-1896 e la fase attuale. Inoltre, secondo Arrighi al XX secolo si sarebbe sovrapposta la parte terminale del "lungo XIX secolo". Leonardo Paggi ha invece avanzato l'ipotesi del Novecento come di un secolo "spezzato", diviso in due periodi dalla seconda guerra mondiale: da una parte gli anni 1870-1945, dall'altra il periodo che comincia nel 1945 e che è ancora in corso, non attribuendo una particolare idea di rottura alla fine dell'Unione Sovietica nel 1991.
La posizione di Barraclough in questo dibattito ha una particolare rilevanza datagli dall'aver scritto il suo libro nel 1964, prima quindi di poter avere quella visione d'insieme sul Novecento che ha invece caratterizzato le ricerche degli storici successivi già citati. L'idea di Barraclough è che il periodo 1890-1960 costituisca una lunga transizione all'età contemporanea. Quest'ultima sarebbe "entrata in orbita" all'inizio degli anni sessanta.
Ad esclusione di Arrighi e Paggi, che considerano la fase attuale come un momento di un'epoca ancora pienamente in corso, tutti gli altri guardano al '900 (o all'età contemporanea) come un periodo che ha trovato una conclusione. Al centro di tutte le interpretazioni- in misura più o meno maggiore - emerge un dato: il '900 appare come il secolo dell'interdipendenza, come una fase storica che ha realizzato una sempre maggiore integrazione tra tutte le parti del globo, un processo che trae le sue ragioni da fattori economici, politici e culturali. Lungi dall'esaurire l'arco del dibattito sul Novecento che - come abbiamo già ricordato- è stato molto ampio, le posizioni di questi autori sono, per molti versi, paradigmatiche, espressione di diversi filoni storiografici. Va tenuto presente in ogni punto della trattazione che - sia pure con diverse gradazioni - nessuno degli storici tralascia di sottolineare anche le linee di continuità tra i vari periodi in cui si articolano le varie proposte di periodizzazione. Alcune enfatizzazioni, talvolta, nascono più dalle necessità dell'esposizione che non dalla riflessione di questi autori che è, come ovvio, assai più articolata di quanto non risulti dalla lettura di queste pagine. Che cosa ci appare più significativo in queste interpretazioni? Ci sembra che l'ipotesi interpretativa di Barraclough, quanto al delineare i principali processi che delimitano e caratterizzano l'età contemporanea, rimanga quella a cui fare riferimento. In questo quadro, però, crediamo vadano raccolte alcune indicazioni degli altri autori. Facendo riferimento a Maier, è necessario pensare il Novecento come un secolo "lungo", con uno spostamento all'indietro, rispetto a Barraclough, del momento di apparizione di quei problemi che ci introducono nell'età contemporanea. E' un’indicazione utile quella di risalire al 1870, perché effettivamente, come lo stesso Maier mette in risalto, alcuni nodi (la territorialità, la nascita di una nuova coalizione di classe aristocratico-borghese, ecc.), si sono rivelati più decisivi grazie agli studi successivi all'opera di Barraclough. Pur valutando con attenzione le motivazioni di Paggi circa l'idea di un "secolo spezzato", ci sembra vadano sottolineate le linee di continuità che fanno comunque del "lungo '900" un periodo unitario. Da Arrighi, tra le altre cose, va recuperata l'indicazione metodologica e interpretativa di fare i conti con i secoli che precedono il '900- comunque esso venga delimitato - dal momento che talvolta i contorni della fase precedente rimangono, per molti aspetti, indefiniti. Va accolta inoltre la lezione di Guarracino di mettere in evidenza la riflessione sul carattere circolare del secolo che –a suo giudizio - si è appena concluso, a partire dal fatto che molte questioni postesi al principio del '900 o ancora prima, sia pure in gran parte cambiate, si sono riproposte dopo il 1989 e in modo particoloare in questo esordio del Duemila. Da Hobsbawm, infine, va soprattutto presa ad esempio, a nostro parere, la coerenza del disegno d'insieme e un metodo d'analisi che si fonda su uno studio di ampio respiro. Al tempo stesso va accolta l'indicazione a non trascurare la dimensione politica del '900, la carica ideologica, le grandi scelte (come quella antifascista, un'esperienza che Hobsbawm ritiene centrale nella storia del "secolo breve") che le nazioni e i singoli individui si sono trovati a dover compiere. Esistono dei grandi momenti unificanti, rivelatori, come le guerre mondiali o la rivoluzione d'ottobre che se pure possono rappresentare solo delle tappe in processi di più ampio respiro, tuttavia, vanno, secondo noi, considerati in quanto tali. Se non altro va assunto il loro carattere di radicalità, anche in relazione alla percezione che ne ebbero i contemporanei. Queste sono, tuttavia, solo alcune suggestioni. Non è nostro compito suggerire un'interpretazione, sia perché costituirebbe un atto di presunzione, sia perché nello sforzo di tenere conto della ricchezza di spunti che sono presenti in tutti questi interventi, correremmo il pericolo di costruire un collage degli spunti migliori. Il rischio in questi casi è quello di dare corpo a una sorta di sincretismo, a un irenismo storiografico di corto respiro.
NOTE
1 Cit. in A. Lyttleton, «Il secolo che nasce»: profezie e previsioni del Novecento, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia, Roma, Donzelli, 1997, p. 57.
2 A. Lyttleton, «Il secolo che nasce»..., cit.
3 L. Paggi, Un secolo spezzato. La politica e le guerre, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia,
Roma, Donzelli, 1996, p. 79.
4 Cfr. W. Kula, Problemi e metodi di storia economica, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1973 (p. 133); K.
Pomian, Periodizzazione, in Enciclopedia, vol. 10, Torino, Einaudi, 1980, pp. 603-650; B. Croce, Teoria
e storia della storiografia, Milano, Adelphi, 1989 (1917) cfr il capitolo VII.
5 Cfr. J. Le Goff (a cura di), La nuova storia, Milano, Mondadori 1980 [1979]; J. Le Goff e P. Nora (a
cura di), Fare storia, Torino, Einaudi, 1981 [1974].
6 C. Maier, Secolo corto o epoca lunga? L'unità storica dell'età industriale e le trasformazioni della
territorialità, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia, cit., p. 33.
7 Cfr. S. Guarracino, Il Novecento e le sue storie, Milano, Bruno Mondadori 1997, pp. 5-35. Di S.
Guarracino cfr., inoltre, Il ventesimo secolo dalla storia alla teoria, in AA.VV., Teoria e storia del XX
secolo, atti del convegno Novecento. Teoria e storia del XX Secolo (Riva del Garda, 11-13 novembre
1993), in «I viaggi di Erodoto», 1994, n. 22, pp. 325-327.
8 Per una rassegna di alcuni dei principali studi, cfr. M. Flores e N. Gallerano, Introduzione alla storia
contemporanea, Milano, Bruno Mondadori, 1995.
9 G. Barraclough,Guida alla storia contemporanea, Bari, Laterza 1989 [1964]; E. J. Hobsbawm, Il
secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995 [1994]
10 Cfr. G. Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Milano, Il
Saggiatore, 1995; C. Maier, Secolo corto o epoca lunga? L'unità storica dell'età industriale e le
trasformazioni della territorialità, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia, cit.; C. Maier,
Imperi o nazioni? 1918, 1945, 1989..., in «Il Mulino», n. 5, 1995, pp. 761-782; L. Paggi, Un secolo
spezzato. La politica e le guerre, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia, cit.;
11 S. Guarracino,Il Novecento e le sue storie, cit.