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domenica 5 agosto 2007

I COMUNI ITALIANI

I COMUNI ITALIANI
Indice
L'Alto Medioevo e la rinascita
Le istituzioni giuridiche
Lo sviluppo politico ed economico
Il clero cittadino
Le associazioni giurate
L'opposizione all'ordine feudale
Il ruolo dell'Imperatore
Le regole sociali
La ''gente nova''
Il ''populus''

Il Comune, come ordinamento politico e giuridico medievale, si diffuse, con diverse caratteristiche, in vari paesi europei (Italia, Fiandra, Francia, Germania, Spagna) e si affermò in seguito alla rinascita delle città e all'espansione dei traffici dopo il Mille, come strumento di emancipazione dalle strutture feudali.


L’alto medioevo e la rinascita


In verità, anche nei secoli più bui dell'Alto Medioevo, le città italiane avevano conservato due peculiarità che le facevano considerare ancora tali: il vescovo (e dunque il centro dell'amministrazione diocesana) e le mura perimetrali.
Inoltre, l'attrazione esercitata dalla città in epoche pur segnate dalla fuga nelle campagne e dall'economia curtense, era tale che gli stessi esponenti della nobiltà longobarda e franca vi mantennero la residenza.
La rinascita cittadina italiana prese avvio, paradossalmente, dai disastrosi secc. IX e X, per le incursioni vichinghe e saracene sulle coste e per quelle ungare nell'interno della penisola: la necessità di difendersi costrinse gli abitanti delle città ad unirsi in gruppi sempre più numerosi, per organizzare la vita sociale, erigere nuove mura e restaurare le vecchie.


LE ISTITUZIONI GIURIDICHE


Sul piano delle istituzioni giuridiche le città italiane dipendevano, almeno per il centro-nord, dai vari conti. Tuttavia, ormai da secoli, sovrani e popolo riconoscevano nel vescovo il protettore delle città.
Nella seconda metà del sec. X, infatti, gli imperatori sassoni, per contenere la potenza dei grandi feudatari, si erano appoggiati ai vescovi, mentre nella prima metà del secolo successivo, per il medesimo motivo, gli imperatori franconi favorirono i piccoli feudatari, che tendevano a vivere in città, concedendo loro l'ereditarietà dei feudi.


LO SVILUPPO POLITICO ED ECONOMICO


Tali eventi favorirono lo sviluppo non solo sociale ed economico, ma anche politico, delle città.
Attorno al vescovo, a volte in collaborazione spesso in opposizione, si delineò, a partire dal sec. XI, una minoranza di persone autorevoli ed abbienti potentiores), distinte dai restanti cives più per il loro prestigio, la loro ricchezza e i doveri militari che ne derivavano, che per vere prerogative giuridiche.
Essi erano, in parte, vassalli del conte o del vescovo, in parte liberi proprietari professionisti necessari alle crescenti esigenze giuridico-amministrative pubbliche e private (giudici, notai), in parte mercanti arricchiti i quali, volendo reinvestire i loro guadagni o semplicemente arricchire il loro prestigio sociale, tendevano ad acquistare terre ed immobili in città.


IL CLERO CITTADINO


Legato a questa aristocrazia era il clero cittadino, in genere espresso dalle medesime famiglie. Inoltre, i residui delle antiche usanze civiche (quali, ad esempio, la pubblica assemblea dei cittadini) erano sempre più privatizzati ed egemonizzati da questa elite. A ciò si aggiunga il fatto che secondo gli antichi canoni il vescovo era eletto dal clero e dal popolo della diocesi (quindi dai membri della stessa elite). Si evince, dunque, come il governo della città si andasse costruendo, a poco a poco, attorno al vescovo ed ai potentiores.
Alla fine del sec. XI le città italiane uscivano da un lungo periodo di sconvolgimenti: la lotta per le investiture aveva in parte rinnovato, ed in parte ridimensionato le gerarchie ecclesiastiche; le grandi casate feudali avevano di fatto rinunciato al controllo dei centri urbani; intanto la rinascita dei mercati, legata allo slancio demografico, alla riapertura del traffico mediterraneo e all'inizio del movimento crociato, faceva affluire entro le mura urbane nuove ricchezze.


LE ASSOCIAZIONI GIURATE
In tutte le città si assisté al fenomeno dell'accordo tra gruppi interessati a mantenere la pace ed alla creazione conseguente (secondo la comune pratica medievale) di associazioni giurate, dette coniurationes, costituite su patti rinnovabili e dotate di magistrati scelti liberamente all'interno della loro cerchia.
Il risorgente diritto romano fornì a queste associazioni il lessico politico e istituzionale: si riscoprì il significato del termine commune, che i Romani usavano per qualificare tutto quanto atteneva al municipium, distinguendolo da quanto era publicum.
E ai magistrati eletti a guidare il nuovo organismo (si trattava di un collegio di persone, talora anche qualche decina) si dette il nome di consoli.



L’OPPOSIZIONE ALL’ORDINE FEUDALE


Il Comune nacque, dunque, come un fatto privato, che riguardava solo quanti entravano nella coniuratio e giuravano il pactum commune; ma, dato il suo particolare dinamismo, l'autorità del Comune si estese ben presto a tutta la città.
Il Comune era un'entità politica estranea e concettualmente opposta all'ordine feudale, che trovava formale espressione nell'ordinamento del regnum Italiane marche e contee facenti capo all'imperatore romano-germanico, cui spettavano certi diritti (regalia iura, o semplicemente regalia), fonte a loro volta di notevoli gettiti economici.
I Comuni, approfittando della lotta per le investiture prima, della guerra civile tra guelfi e ghibellini in Germania poi, presero a usurpare i regalia ed a espandersi nei contadi circostanti al fine di piegare al loro volere i centri abitati minori ed i signori feudali (che costringevano a venire ad abitare in città ed a unire le loro fortune ed i loro diritti a fortune ed a diritti comunali).


IL RUOLO DELL’IMPERATORE


Il tentativo di Federico I Barbarossa, che con le armi e la diplomazia cercò dal 1158 al 1183 di assicurarsi la restituzione dei regalia e di sottoporre i Comuni italiani ad una rete di funzionari regi, fallì.
L'imperatore dovette accontentarsi di trattare in blocco i Comuni come feudatari, concedendo loro libertà e privilegi che sulla carta dei documenti figurano come umilmente richiesti dalle comunità e graziosamente concessi dalla paterna sollecitudine dell'imperatore, ma nella viva realtà delle cose sono estorti dai Comuni ad un potere centrale sempre più incapace di tutelarli.
Da allora in poi, pur con alterne vicende, gli imperatori tenderanno ad abbandonare i loro diritti nelle mani dei magistrati comunali, ottenendo in cambio il solenne riconoscimento, da parte di questi, della loro sovranità teorica (e ciò in linea di principio era molto) ed ottenendo altresì dalle città periodici, massicci contributi economici in cambio della formale e documentata cessione di tali diritti.


LE REGOLE SOCIALI


Si deve tener presente, tuttavia, che i mali del Comune italiano medievale non stavano fuori, ma dentro le mura; non nei pur duri conflitti militari e giuridici con l'autorità imperiale, con i feudatari circostanti, con gli stessi Comuni vicini, bensì nella situazione politica e sociale interna.
Il commune militum, quello cioè costituito dall'associazione dei "consorzi" gentilizi cittadini, stretti attorno all'uso comune di una torre fortificata e di una cappella, stava languendo.
L'aristocrazia che l'aveva creato, e che era forte dei possessi immobiliari e dell'uso professionale delle armi, si andava consumando nelle rivalità e nelle vendette.
L'istituto collegiale, pensato per mantenere un equilibrio, si rivelò presto inadatto a ciò; si tentò di sostituirlo, tra la fine del sec. XII e i primi del sec. XIII, con un magistrato unico, il "podestà", che, per ulteriore garanzia di imparzialità, si prese da fuori.


LA “GENTE NOVA”


Tuttavia, neppure il podestà forestiero poté spezzare, o quanto meno contenere, il circolo vizioso delle rivalità e delle vendette.
La fissazione di norme di convivenza negli statuti, intanto, costituiva un'altra prova del crescente bisogno di pace e di giustizia cittadino, bisogno per il quale il Comune era nato, ma di cui, evidentemente, non bastava più a garantire la soddisfazione. Mentre l'aristocrazia comunale si dilaniava dunque nelle lotte per il potere, nuovi ceti sociali premevano all'orizzonte cittadino.
Lo sviluppo demografico e commerciale, che in Italia come nel resto d'Europa andava toccando l'apice nella prima metà del Duecento, aveva riempito la città di "gente nova" e determinato rapidi arricchimenti.
Nelle città comunali si ebbe, in effetti, un massiccio fenomeno di inurbamento: si trattava non più di piccoli feudatari e non tanto di miseri villani o di "servi fuggitivi" alla ricerca di libertà dal giogo della gleba e di fortuna; si trattava soprattutto di benestanti del contado, che venivano attratti dalla prospettiva dei buoni affari in città, ma che non per questo rinunciavano ai loro beni in campagna.
Un sorta di "media borghesia campagnola" andò quindi a rinforzare quei ceti sociali subalterni delle città comunali che fin lì avevano subito il Comune senza parteciparvi di fatto se non passivamente.
Si trattava degli artigiani, dei piccoli mercanti, dei modesti operatori economici stretti intorno alle loro antiche istituzioni di strada e di quartiere ("vicinia", parrocchia, ecc.) e organizzati in società armate con compiti di fanteria e di difesa della cinta muraria: di questi erano fatte le associazioni professionali dette Arti o Corporazioni, sorte con intenti solidaristico-religiosi, ma anche protezionistici e politici.

IL “POPULUS”


Accanto al commune maius costituito dai milites e dalle famiglie di condizione mercantile o libero-professionistica (giudici-notai) che li attorniavano ed erano imparentati con loro od a loro stretti da vincoli di amicizia ed interesse, prese campo pertanto un commune minus, composto dai "popolani" che lo modellarono sull'esempio del precedente.
Verso la metà del secolo il populus, con un suo magistrato, anch'esso copia concorrenziale del podestà e detto "capitano del popolo", poté contrapporsi, sovrapporsi e spesso con successo soverchiare il commune maius.
Alle famiglie di origine feudale ed abitualmente insignite della dignità cavalleresca, ed a quelle famiglie che per genere di vita, ricchezze o compromissioni con i nobili ricevettero da allora la qualifica di "grandi", "potenti", "magnati", si contrappose la "borghesia" delle Arti, ormai detentrice in gran parte del potere economico ed orientata a scalare quello politico.
Alla fine del secolo tutte le città dell'Italia centro - settentrionale registrarono un fenomeno nuovo, la "legislazione antimagnatizia" (di cui sono esempio classico gli Ordinamenti di giustizia fiorentini del 1293-1295): attraverso tale strumento, il "popolo", ormai al potere con il "Comune delle Arti" (le cui massime magistrature erano cioè espresse attraverso le associazioni professionali o da esse comunque controllate), mirò ad escludere i "magnati" dall'esercizio del potere ed addirittura a limitarne certi diritti civili.
Naturalmente, i magnati rimanevano cittadini cospicui per ricchezza, prestigio, aderenze politiche e familiari estese anche oltre le mura cittadine: la legislazione antimagnatizia era pertanto destinata a fallire.