Storia e
periodizzazione
«La data
è comoda ma nella comodità sta la verità». (H. Adams)1
Come ha osservato
giustamente Charles Maier i nostri ritmi spirituali sembrano avere una cadenza
secolare. Quella che è una partizione temporale convenzionale diventa un dato
storico nel momento in cui modifica la auto-definizione che di sé danno gli
uomini. Inutile scomodare il passaggio al primo millennio, per mettere in
evidenza il carico di aspettative o di timori che accompagna alcuni passaggi
temporali. Sotto un profilo psicanalitico la fine dell'anno o del decennio, o
la nascita del nuovo, ancora di più il passaggio da un secolo all'altro
diventano metafore della morte e della rinascita, come ha ricordato Adrian
Lyttleton in un recente scritto2. Leonardo Paggi ha osservato che la
periodizzazione si configura come «ricerca della nostra identità di contemporanei»:
Anche in questo più antico ed elementare tentativo di scansione del tempo - i
cento anni [...] - c'è a ben guardare una ricerca, quasi un’ansia di
orientamento tutt'altro che esteriore. Qualsiasi sforzo di periodizzazione, ben
lungi dall'essere un astratto esercizio intellettuale, risponde in
effetti a un profondo bisogno esistenziale: quello di portare un ordine nelle
coordinate spazio-temporali che definiscono le condizioni della nostra
esperienza di vita. Dalla specificità del nostro essere nel mondo si diparte
insomma qualsiasi tentativo di organizzazione della temporalità. E'
in fondo questo il significato vero della tesi quasi heideggeriana della
inevitabile contemporaneità della storia avanzata da Croce all'inizio del
secolo, nel contesto di una cultura europea già profondamente impegnata a
riflettere sui rapporti tra tempo, esperienza, memoria e storia.3
Queste sono alcune
delle motivazioni per cui siamo convinti che se lo scopo, il valore, di ogni
periodizzazione è soprattutto didattico e espositivo, al tempo stesso in essa
vi sia qualcosa di più, un elemento che affonda le radici sia nella coscienza
dei contemporanei e nella loro idea del tempo che stanno vivendo (e quindi con
alcune scelte che sono derivate da questo "ritmo spirituale"), sia
nel modo in cui viene organizzato il discorso storiografico che - in ultima
analisi - è sempre un esercizio di periodizzazione, è sempre elaborazione
secondo una certa gerarchia d'importanza dei dati raccolti.
Il discorso storico,
dunque, presuppone sempre una periodizzazione sia che si muova nella
prospettiva della "lunga durata" o del "tempo breve", sia
che si scelga un piano d'indagine che privilegi la diacronia,
ovvero la discontinuità, sia che si privilegi, al contrario, la
sincronia, cioè la continuità4. Una grande parte della storiografia - a partire
dalla scuola delle Annales5 - si è battuta nel secondo dopoguerra per il
superamento di una storiografia événementielle, incentrata
sui grandi fatti e sui grandi personaggi. Da una concezione della
storia fino ad allora intesa prevalentemente come storia politica si
è passati ad una storia dei grandi processi plurisecolari, da una storia della
cultura intesa solo come alta cultura si è passati all'attenzione
verso le "culture basse", le "mentalità", la
"civiltà materiale", ecc. Tutta una serie di complessi documentari,
sottratti all’inizio ai confini disciplinari della storia, sono
stati scoperti e valorizzati, all’interno di una vera e propria
"rivoluzione documentaria" che ha avuto come cardine concettuale la
famosa frase di Lucien Febvre secondo cui tutto quello che si riferisce
all’uomo è fonte per lo storico. In altre parole, a una
storiografia attenta al mutamento, ai grandi personaggi ecc., se
ne è contrapposta un'altra attenta alla "lunga durata", al "tempo
lungo" dei processi storici. Gli esiti di questa "rivoluzione
storiografica" non sono stati sempre all'altezza delle
premesse, dal momento che talvolta una storiografia fondata unilateralmente
sulle fonti seriali, quantitative e attenta prevalentemente alla dimensione
"micro" dell'indagine scientifica ha avuto come limite principale
proprio quello di perdere di vista il quadro d'insieme e quindi,
in ultima analisi, il tempo storico in cui gli argomenti studiati
andavano collocati. Tuttavia di questa tendenza storiografica va
raccolta l'indicazione a muoversi con estrema cautela nel momento in
cui ci accingiamo ad avanzare un'ipotesi di periodizzazione fondata sul tempo
"breve" o "medio". Il secolo, in questa
visione, si rivela un contenitore troppo angusto.
Se -come abbiamo detto
- ogni indagine storica presuppone una periodizzazione, allora
risulterà impraticabile analizzare tutte le ipotesi di organizzazione degli
eventi e dei processi che la storiografia ha proposto per il XX
secolo. Su questo terreno, inoltre, confrontano con processi che
tagliano trasversalmente tutte le questioni e che non sempre sono
organizzabili secondo scansioni cronologiche nette. Sono quelle, infine,
che non perdono di vista quei momenti di discontinuità che comunque, a nostro
giudizio, esistono nel "divenire storico".
Venendo più
direttamente al '900, non ci soffermeremo sul concetto di secolo o di
centuria7, che ha una storia antica e rimanda ai primi tentativi di organizzare
criticamente il passato e di definire il presente. Un elemento che va messo in
evidenza, anche se può apparire ovvio, è quello per cui il
concetto di "secolo" nell'ambito della riflessione
storiografica ha acquisito una latitudine che non corrisponde al significato
letterale del termine. I "secoli" hanno oltrepassato o, viceversa,
hanno accorciato i propri limiti cronologici. Ad esempio lo
storico francese Braudel ha usato l'espressione «lungo XVI secolo»
per definire il periodo che va dal 1480 al 1620. Come vedremo più avanti
anche per quanto riguarda il XX secolo il dibattito sul suo "inizio"
e sulla sua "fine" ha fatto registrare posizioni molto
distanti. Pur tenendo presenti gli avvertimenti della storiografia
del tempo lungo, nonché il pericolo di generalizzazione insito
nella nostra sensibilità di contemporanei, ad una prima lettura il
XX secolo appare contrassegnato da grandi avvenimenti che gli hanno
attribuito una particolare fisionomia. Le due guerre mondiali, la grande crisi
del '29 e le sue conseguenze, ecc. ci sembrano ad una prima
lettura degli eventi-spartiacque. Molti dei fatti più
"evenemenziali" del Novecento, come le guerre mondiali, hanno, di
fatto, interagito direttamente con il "tempo lungo".
Come valutare - ad esempio – la distruzione da parte dei nazisti
della cosiddetta "nazione ebraica" nell'Europa centrorientale,
la cui storia affondava nei secoli precedenti?
Del resto molti
storici e molti politologi hanno notato come il secolo scorso sia terminato
con eventi di enorme portata (crollo dei regimi comunisti a Est, mutamento
del modo di produzione in Occidente, nuove tecnologie) e con la piena
affermazione di linee di tendenza (come la globalizzazione, il
declino del modo di produzione fordista in Occidente, ecc.), tali
da prospettare una corrispondenza tra ciclo secolare e divenire storico,
tra organizzazione formale del tempo e sviluppo degli avvenimenti. Questa è si
va incontro ad un altro ostacolo. A seconda dell'oggetto di indagine che gli
storici hanno scelto (che può essere la storia dell'economia,
della politica internazionale, dei partiti politici, delle
ideologie, ecc.), essi hanno necessariamente operato scansioni diverse
nell'epoca contemporanea che hanno a che fare sia con l'oggetto dello studio,
sia con la storia del secolo in generale, perché necessariamente
l'oggetto di indagine deve essere collocato nel contesto. A
seconda della scelta del punto di vista (la storia economica,
politica, militare, ecc.) cambia il peso che si dà ad alcuni fattori.
L'integrazione tra i due piani della "storia speciale" e della
"storia generale" ha portato a risultati fortemente
differenziati, anche perché le "storie speciali" si muovono su tempi
storici molto diversi (la storia della politica internazionale non ha gli
stessi tempi della storia dell'ambiente o di quella
dell'economia). Come Charles Maier ha giustamente osservato, le
discussioni sulla periodizzazione non concernono tanto le date o i fatti
storici presi per se stessi, «quanto le dimensioni del mutamento sociale,
culturale e politico che le sottendono […] date particolari
privilegiano differenti ordini di trasformazione»6.
Similmente l'esigenza
di fare i conti con il "contesto" generale, se è necessario per
tutti i settori della storiografia, è ancora più imprescindibile per lo storico
dell'età contemporanea, perché se c'è un elemento che ormai si può
considerare acquisito per quanto riguarda la storia recente è
quello della grande, crescente (sicuramente a partire dalla
rivoluzione industriale inglese del XVIII secolo) integrazione tra tutte le
parti del mondo, un processo riassumibile nel concetto di
"interdipendenza". Quindi, anche quando si affrontano
temi specifici come le storie nazionali, ci si deve confrontare con
una dimensione internazionale, stabilire dei nessi e analizzare il loro modo di
operare. Uno dei problemi principali della maggior parte dei
manuali scolastici è proprio quello per cui nell'illustrazione dei
vari argomenti si tende in genere a perdere di vista il senso dei
processi generali, il loro interagire con le realtà nazionali secondo modalità
orizzontali. E quindi si studiano l'Italia, la Germania, gli Stati Uniti, ecc.
tralasciando molto spesso di collegare i singoli sviluppi
nazionali nel quadro dei rapporti di interdipendenza che esistono
tra i vari paesi.
Le indagini
storiografiche più convincenti sono quelle in cui si stabiliscono dei nessi
tra questi vari piani, che riescono a muoversi su più dimensioni cronologiche,
che si a l'idea di fondo di Eric J. Hobsbawm, lo storico che più di
altri ha costruito una periodizzazione "compiuta" del
secolo, fondata su un'imponente base analitica. In realtà, sono molti
i processi che non possiamo legare a date precise e che appaiono fortemente
contraddittori. E' il caso del processo di decolonizzazione: alcune di queste
nuove nazioni hanno conosciuto il fallimento delle loro strategie di sviluppo
(la maggior parte dei paesi africani), altre sembrano incamminate
a sostituire l'Occidente come motore dell'economia mondiale (le
"tigri asiatiche", la Cina, l'India, ecc.). Inoltre, le
linee tra sviluppo e sottosviluppo non corrono più tra le nazioni ma
all'interno di esse, centri produttivi all'avanguardia sul piano
dell'innovazione tecnologica convivono con enormi sacche di
povertà. Insomma, se è difficile avanzare un'ipotesi di
periodizzazione che con coerenza tenga conto di tutti i principali
fattori, è pressoché impossibile attribuire un significato prevalente
dell'epoca che abbiamo appena attraversato senza operare delle forzature.
Inquadrare in una prospettiva unidimensionale il '900 risulta fuorviante. Nella
temperie politica e culturale degli anni '50, ad esempio, molti
storici e personalità della cultura vedevano nella violenza
organizzata il dato caratterizzante dell'epoca passata e presente. E' difficile dar loro
torto: erano passati pochi anni, dalle due grandi guerre mondiali, dal
genocidio del popolo ebraico, dall'avvio dell'era atomica (con Hiroshima e
Nagasaki), dagli orrori dello stalinismo ecc. In realtà, alla
distanza, una tale definizione ci appare oggi sicuramente
corretta, ma non l'unica che possiamo dare al Novecento. Analizzare
tutte le periodizzazioni che la storiografia ha proposto sul Novecento
costituirebbe un'impresa improba, il cui risultato, data la mole di ricerche,
sarebbe un elenco sommario di autori e di opere8. Ci limiteremo,
dunque, ad alcune opere di carattere generale che - per diversi
motivi - appaiono le più significative nel dibattito attuale. Nei
prossimi capitoli cercheremo, dunque, di illustrare la ricerca analitica di
alcuni autori i quali, a partire da una considerazione globale dell'età
contemporanea, hanno avanzato una proposta di periodizzazione del
Novecento. Al centro della nostra trattazione si collocano due
interpretazioni, entrambe di storici inglesi, ma pubblicate a
distanza di trent'anni l'una dall'altra: quella di Geoffrey Barraclough
e quella di Eric Hobsbawm9. Abbiamo poi scelto di approfondire l'analisi
attraverso le opere di altri autori particolarmente significativi che propongono
periodizzazioni diverse (Arrighi, Maier e Paggi10) o che tentano una sintesi
delle ipotesi di lettura dei due storici anglosassoni (Guarracino11).
Il quadro delle griglie cronologiche che sono state prospettate è fortemente
differenziato, anche se poi, ad una lettura più attenta, emergono alcuni
elementi comuni, pur nella diversità delle ipotesi di
periodizzazione. Hobsbawm e Guarracino hanno sostenuto l'idea del
Novecento come un secolo "breve", cioè compreso tra lo scoppio
del primo conflitto mondiale (1914) e la dissoluzione dell'Unione Sovietica
(1991). Questa interpretazione ha come pendant l'idea di un
"lungo Ottocento" durato fino all'attentato all'arciduca
d'Austria a Sarajevo. Maier e Arrighi, al contrario, hanno entrambi
proposto l'idea di un "secolo lungo", ma in base a considerazioni per
molti aspetti diverse: il primo vede il “secolo lungo” compreso
tra il 1850-60 e gli anni ottanta del XX secolo, cioè il periodo
che va dalla fondazione alla crisi di un determinato assetto
territoriale. Il secondo, invece, considera il "lungo XX secolo"
racchiuso tra la grande depressione del 1873-1896 e la fase attuale. Inoltre,
secondo Arrighi al XX secolo si sarebbe sovrapposta la parte
terminale del "lungo XIX secolo". Leonardo Paggi ha
invece avanzato l'ipotesi del Novecento come di un secolo "spezzato",
diviso in due periodi dalla seconda guerra mondiale: da una parte gli anni
1870-1945, dall'altra il periodo che comincia nel 1945 e che è ancora in corso,
non attribuendo una particolare idea di rottura alla fine
dell'Unione Sovietica nel 1991.
La posizione di
Barraclough in questo dibattito ha una particolare rilevanza datagli
dall'aver scritto il suo libro nel 1964, prima quindi di poter avere quella
visione d'insieme sul Novecento che ha invece caratterizzato le
ricerche degli storici successivi già citati. L'idea di
Barraclough è che il periodo 1890-1960 costituisca una lunga transizione
all'età contemporanea. Quest'ultima sarebbe "entrata in orbita"
all'inizio degli anni sessanta.
Ad esclusione di
Arrighi e Paggi, che considerano la fase attuale come un momento di
un'epoca ancora pienamente in corso, tutti gli altri guardano al '900 (o all'età
contemporanea) come un periodo che ha trovato una conclusione. Al centro di
tutte le interpretazioni- in misura più o meno maggiore - emerge
un dato: il '900 appare come il secolo dell'interdipendenza, come
una fase storica che ha realizzato una sempre maggiore
integrazione tra tutte le parti del globo, un processo che trae le sue ragioni
da fattori economici, politici e culturali. Lungi
dall'esaurire l'arco del dibattito sul Novecento che - come abbiamo già
ricordato- è stato molto ampio, le posizioni di questi autori sono, per molti
versi, paradigmatiche, espressione di diversi filoni
storiografici. Va tenuto presente in ogni punto della trattazione
che - sia pure con diverse gradazioni - nessuno degli storici tralascia
di sottolineare anche le linee di continuità tra i vari periodi in cui si
articolano le varie proposte di periodizzazione. Alcune
enfatizzazioni, talvolta, nascono più dalle necessità
dell'esposizione che non dalla riflessione di questi autori che è, come ovvio,
assai più articolata di quanto non risulti dalla lettura di queste pagine.
Che cosa ci appare più significativo in queste interpretazioni? Ci sembra che
l'ipotesi interpretativa di Barraclough, quanto al delineare i
principali processi che delimitano e caratterizzano l'età
contemporanea, rimanga quella a cui fare riferimento. In questo quadro,
però, crediamo vadano raccolte alcune indicazioni degli altri autori. Facendo
riferimento a Maier, è necessario pensare il Novecento come un secolo
"lungo", con uno spostamento all'indietro, rispetto a
Barraclough, del momento di apparizione di quei problemi che ci
introducono nell'età contemporanea. E' un’indicazione utile quella
di risalire al 1870, perché effettivamente, come lo stesso Maier mette in
risalto, alcuni nodi (la territorialità, la nascita di una nuova
coalizione di classe aristocratico-borghese, ecc.), si sono
rivelati più decisivi grazie agli studi successivi all'opera di Barraclough.
Pur valutando con attenzione le motivazioni di Paggi circa l'idea di un
"secolo spezzato", ci sembra vadano sottolineate le
linee di continuità che fanno comunque del "lungo '900"
un periodo unitario. Da Arrighi, tra le altre cose, va recuperata l'indicazione
metodologica e interpretativa di fare i conti con i secoli che precedono il
'900- comunque esso venga delimitato - dal momento che talvolta i contorni
della fase precedente rimangono, per molti aspetti, indefiniti. Va
accolta inoltre la lezione di Guarracino di mettere in evidenza la
riflessione sul carattere circolare del secolo che –a suo giudizio
- si è appena concluso, a partire dal fatto che molte questioni postesi al
principio del '900 o ancora prima, sia pure in gran parte cambiate, si sono
riproposte dopo il 1989 e in modo particoloare in questo esordio
del Duemila. Da Hobsbawm, infine, va soprattutto presa ad esempio,
a nostro parere, la coerenza del disegno d'insieme e un metodo
d'analisi che si fonda su uno studio di ampio respiro. Al tempo stesso
va accolta l'indicazione a non trascurare la dimensione politica del '900, la
carica ideologica, le grandi scelte (come quella antifascista,
un'esperienza che Hobsbawm ritiene centrale nella storia del
"secolo breve") che le nazioni e i singoli individui si sono
trovati a dover compiere. Esistono dei grandi momenti unificanti, rivelatori,
come le guerre mondiali o la rivoluzione d'ottobre che se pure
possono rappresentare solo delle tappe in processi di più ampio
respiro, tuttavia, vanno, secondo noi, considerati in quanto tali.
Se non altro va assunto il loro carattere di radicalità, anche in relazione alla
percezione che ne ebbero i contemporanei. Queste sono, tuttavia, solo
alcune suggestioni. Non è nostro compito suggerire un'interpretazione,
sia perché costituirebbe un atto di presunzione, sia perché nello sforzo
di tenere conto della ricchezza di spunti che sono presenti in tutti questi
interventi, correremmo il pericolo di costruire un collage degli spunti
migliori. Il rischio in questi casi è quello di dare corpo a una
sorta di sincretismo, a un irenismo storiografico di corto
respiro.
NOTE
2 A. Lyttleton, «Il
secolo che nasce»..., cit.
3 L. Paggi, Un
secolo spezzato. La politica e le guerre, in C. Pavone (a cura di), '900.
I tempi della storia,
Roma, Donzelli, 1996,
p. 79.
4 Cfr. W. Kula, Problemi
e metodi di storia economica, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1973 (p. 133);
K.
Pomian, Periodizzazione,
in Enciclopedia, vol. 10, Torino, Einaudi, 1980, pp. 603-650; B. Croce, Teoria
e storia della
storiografia, Milano, Adelphi, 1989 (1917) cfr il capitolo VII.
5 Cfr. J. Le Goff (a
cura di), La nuova storia, Milano, Mondadori 1980 [1979]; J. Le Goff e
P. Nora (a
cura di), Fare
storia, Torino, Einaudi, 1981 [1974].
6 C. Maier, Secolo
corto o epoca lunga? L'unità storica dell'età industriale e le trasformazioni
della
territorialità, in C. Pavone (a cura
di), '900. I tempi della storia, cit., p. 33.
7 Cfr. S. Guarracino, Il
Novecento e le sue storie, Milano, Bruno Mondadori 1997, pp. 5-35. Di S.
Guarracino cfr.,
inoltre, Il ventesimo secolo dalla storia alla teoria, in AA.VV., Teoria
e storia del XX
secolo, atti del convegno Novecento.
Teoria e storia del XX Secolo (Riva del Garda, 11-13 novembre
1993), in «I viaggi di
Erodoto», 1994, n. 22, pp. 325-327.
8 Per una rassegna di
alcuni dei principali studi, cfr. M. Flores e N. Gallerano, Introduzione
alla storia
contemporanea, Milano, Bruno
Mondadori, 1995.
9 G. Barraclough,Guida
alla storia contemporanea, Bari, Laterza 1989 [1964]; E. J. Hobsbawm, Il
secolo breve, Milano, Rizzoli,
1995 [1994]
10 Cfr. G. Arrighi, Il
lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Milano, Il
Saggiatore, 1995; C.
Maier, Secolo corto o epoca lunga? L'unità storica dell'età industriale e le
trasformazioni della
territorialità, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia,
cit.; C. Maier,
Imperi o nazioni?
1918, 1945, 1989..., in «Il Mulino», n. 5, 1995, pp. 761-782; L. Paggi, Un secolo
spezzato. La politica e le
guerre, in C. Pavone (a cura di), '900. I tempi della storia, cit.;
11 S. Guarracino,Il
Novecento e le sue storie, cit.