quarta di copertina da "I Simpson e la filosofia"

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martedì 14 agosto 2007

LA LIBERTA'

La libertà
di Gaber - Luporini

1972 © Edizioni Curci Srl - Milano
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire un’avventura.
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto
che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura
con la forza incontrastata della scienza
con addosso l’entusiasmo
di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto o un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

lunedì 13 agosto 2007

FRIEDRICH NIETZSCHE

FRIEDRICH NIETZSCHE

VITA, OPERE E VICENDE
Nella seconda metà dell'Ottocento tende ad affermarsi la convinzione sempre più diffusa che la civiltà occidentale stia procedendo irresistibilmente verso il progresso: le scoperte della scienza e della tecnica producono benessere e sicurezza crescenti per strati sempre più vasti della popolazione e il dominio coloniale porta alla conquista dei mercati mondiali. A ciò si accompagnano alcuni fenomeni, spesso interpretati anch'essi come segno di progresso inarrestabile: la diffusione dell'istruzione pubblica, una legislazione sociale volta a proteggere anche i ceti più deboli, l'estensione crescente del diritto di voto, auspicato anche per le donne. Di fronte a questi processi alcuni arretrano sgomenti, scorgendovi il segno di un egualitarismo sempre più vasto che porta alla scomparsa delle aristocrazie. In questo quadro comincia a essere posta la domanda se ciò rappresenti un reale progresso oppure sia solo lo stadio terminale di una malattia che ha colpito l'Occidente. Chi può radicalmente si pose questo interrogativo fu Friedrich Nietzsche. Nato a Röken, nei pressi di Lipsia in Germania, il 15 ottobre 1844, rimase presto orfano del padre, pastore protestante; nel 1850 la madre si trasferì a Naumburg, dove Nietzsche iniziò i suoi studi e ricevette un'educazione musicale. Nel 1859, egli entrò nel ginnasio di Pforta, dove rimase fino al 1864, quando si immatricolò come studente di teologia all'università di Bonn. Qui frequentò soprattutto le lezioni del filologo classico Friedrich Ritschl, che seguì quando questi si trasferì all'università di Lipsia. In questa città cominciarono a farsi avvertire le sofferenze e le malattie che lo tormenteranno in misura sempre crescente per tutta la vita, come reumatismi ed emicranie. Qui strinse amicizia con Erwin Rohde, che si affermerà in seguito negli studi classici, soprattutto con opere sul romanzo greco e sulla concezione dell'anima presso gli antichi. Alla fine del 1868 avviene il suo primo incontro con Richard Wagner; nel frattempo legge Schopenhauer e pubblica articoli sul "Rheinisches Museum" su Diogene Laerzio e Teognide. Nel 1869, grazie all'appoggio di Ritschl e del suo condiscepolo Hermann Usener, ottiene l'insegnamento di Lingua e letteratura greca presso l'università di Basilea, in Svizzera: qui a maggio tiene la sua prolusione su "Omero e la filologia classica". A Basilea diventa collega dello storico Jacob Burckhardt, di cui seguirà le lezioni sullo studio della storia e della civiltà greca, stringe amicizia con il teologo Franz Overbeck e, intanto, intrattiene rapporti con Wagner e Cosima von Bülow, che si sposeranno nel settembre successivo. All'inizio del 1870, Nietzsche tiene due conferenze a Basilea su "Il dramma musicale greco" e "Socrate e la tragedia", le quali suscitano l'ammirazione di Wagner. Esse costituiscono un'anticipazione di quello che sarà il suo primo volume, pubblicato nel gennaio del 1872, "La nascita della tragedia". Nominato professore ordinario a Basilea nell'aprile 1870, a luglio, allo scoppio della guerra franco-prussiana, chiede congedo per arruolarsi come infermiere volontario, ma dopo quindici giorni si ammala di dissenteria e di difterite e viene riportato a casa. La pubblicazione de "La nascita della tragedia" lascia perplessi Ritschl e Usener, che l'interpretano come un abbandono dei metodi rigorosi della filologia: nel maggio del 1872, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, che diventerà il maggior filologo classico in Germania a cavallo tra i due secoli, lo attacca nell'opuscolo "La filologia del futuro", al quale risponde in difesa di Nietzsche l'amico Rohde. In quello stesso mese, Nietzsche si reca a Bayreuth per assistere alla posa della prima pietra del teatro progettato da Wagner. Tra il 1872 e il 1873, egli compone una serie di scritti che rimarranno inediti, in particolare il breve saggio "Verità e menzogna in senso extramorale" e l'opera più corposa "La filosofia nell'epoca tragica dei Greci". Tra il 1873 e il 1874 incomincia invece a pubblicare una serie di scritti polemici, da lui raggruppati sotto il titolo di "Considerazioni inattuali": il primo compare nel 1873 ed é rivolto contro David Friedrich Strauss, altri due escono nel 1874 e vertono "Sull'utilità e sul danno della storia per la vita" e su "Schopenhauer educatore", mentre nel 1876 sarà pubblicato il quarto, intitolato "Richard Wagner a Bayreuth" . Inediti sono invece rimasti i materiali preparatori per un'altra "considerazione inattuale" che avrebbe avuto avere per titolo "Noi filologi". In questi scritti Nietzsche esalta ancora la musica di Wagner, ma già dall'estate del 1874 cominciano le tensioni nei suoi rapporti con Wagner, anche se ancora nel luglio del 1876 sarà ben accolto a Bayreuth, dove assisterà alla rappresentazione dell' "Anello di Nibelungo". Nel frattempo, egli ha intrecciato nuove amicizie, in particolare con Paul Rée e con Heinrich Köselitz (noto con lo pseudonimo di Peter Gast), giunto a Basilea alla fine del 1875 per seguire le sue lezioni. Nonostante l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, Nietzsche ha continuato a svolgere il suo insegnamento presso l'università, ma nel febbraio 1876 é costretto a chiedere un congedo per motivi di salute e nell'ottobre dello stesso anno parte per l'Italia, dando inizio ad una serie di soggiorni che dureranno vari anni: da Genova si imbarca con Paul Rée per Napoli e poi si reca a Sorrento, dove rimane fino al maggio del 1877, ospite di una sua ammiratrice, Malwida von Meysenburg. A settembre riprende l'insegnamento a Basilea e comincia a dettare a Peter Gast gli aforismi che costituiranno "Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi", dedicato a Voltaire e pubblicato in due parti, la prima nel 1878 e la seconda nel 1879. Quest'opera incontra il giudizio favorevole di Burckhardt e Overbeck, ma lascia desolato Rohde, mentre Wagner lo attacca senza nominarlo. Nel maggio 1879, Nietzsche si dimette dall'università di Basilea, che gli concede una pensione, e si reca prima a Zurigo e poi in Engadina, dove scrive "Il viandante e la sua ombra". Dopo un breve soggiorno presso la madre, trascorre gran parte del 1880 in Italia, a Riva del Garda e Venezia, poi a Marienbad, in autunno a Stresa e poi a Genova e nella Liguria in generale, soprattutto a Rapallo, fino al 1883, e successivamente a Nizza, fino al 1888, mentre ogni estate tornerà a Sils-Maria, in Engadina. In questi soggiorni lavora alle sue opere, che escono a ritmo serrato: nel 1881 "Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali", nel 1882 la "Gaia scienza", nel 1883 la prima e la seconda parte di "Così parlò Zarathustra", cui farà seguito una terza parte pubblicata nel 1884, mentre la quarta parte non troverà editore e dovrà essere pubblicata a sue spese nel 1885. Frattanto si interrompono vecchie relazioni e ne nascono di nuove: nel 1882 a Roma conosce Lou von Salomé, alla quale propone il matrimonio, che ella però rifiuta: seguendo uno schema affettivo che egli aveva già sperimentato, Nietzsche la chiede in moglie: egli vuole realizzare un suo vecchio sogno, in cui Nietzsche-Dioniso sposa Arianna con l'approvazione di Teseo; Teseo è l'uomo superiore, una figura paterna, come lo era stato Wagner (di cui egli aveva desiderato la compagna Cosima, non avendo però osato chiedergliela espressamente). Dioniso è superiore a Teseo, Nietzsche è superiore all'uomo superiore Teseo, e quindi vuole anche la sua donna, ma il gioco fallisce e Arianna preferisce sempre Teseo. ; l'anno successivo disapprova il fidanzamento della sorella Elisabeth con l'antisemita Bernhard Förster, ma successivamente si riconcilia con lei; nel 1886 incontra per l'ultima volta Rohde, avvertendo un senso di totale estraneità. Nello stesso anno pubblica a proprie spese "Al di là del bene e del male" e ripubblica, con nuove prefazioni, "La nascita della tragedia" e "Umano, troppo umano"; l'anno successivo accade lo stesso per "Aurora", la "Gaia scienza" e le prime tre parti dello "Zarathustra". Nell'estate del 1886 a Sils-Maria progetta di scrivere un'opera sulla volontà di potenza e l'eterno ritorno e, nel 1887, pubblica a proprie spese la "Genealogia della morale" e una composizione musicale, l' "Inno alla vita". Tra l'aprile e il giugno 1888 soggiorna a Torino, una città di cui é entusiasta più di ogni altra, e vi scrive "Il caso Wagner"; dopo aver trascorso l'estate a Sils-Maria, dove lavora a "Il crepuscolo degli idoli", torna a Torino, dove scrive "Ecce homo" e "Nietzsche contra Wagner" . In questo periodo Nietzsche riceve i primi segni del successo delle sue opere in Europa; tra l'altro, il danese Georg Brandes gli comunica che terrà lezioni su di lui all'università di Copenhagen; tuttavia egli continua a considerarsi incompreso e avversato in Germania. In un delirio di grandezza, prepara un promemoria, rivolto alle corti europee, contro il Reich tedesco. Il 3 gennaio 1889, mentre si trova a Torino, ha un crollo psichico; il 5 Burckhardt riceve una lettera che gli segnala le gravi condizioni di Nietzsche e avverte Overbeck, il quale si reca a Torino e lo riporta a Basilea, dove viene ricoverato in una clinica per malattie nervose. Dal maggio 1890 Nietzsche vive a Naumburg, in condizioni sempre più gravi, incapace di riconoscere gli amici, in preda ad eccessi d'ira e, dal 1893, paralizzato alla spina dorsale; dapprima é assistito dalla madre, che però muore nel 1897 e, in seguito, dalla sorella Elisabeth. Questa, rimasta vedova dopo il suicidio del marito per il fallimento di un'impresa coloniale razzista in Paraguay, aveva fondato nel 1894 un archivio, a Weimar, con l'intento di conservare i manoscritti del fratello e di occuparsi dell'edizione completa delle sue opere. A Weimar, Nietzsche muore il 25 agosto 1900. La pubblicazione delle sue opere, diretta dalla sorella con la collaborazione di Peter Gast, inizia nel 1895 e comprende anche scritti postumi, alcuni dei quali, raggruppati arbitrariamente in 1067 paragrafi ordinati in modo sistematico sotto il titolo "La volontà di potenza" saranno pubblicati nel 1906. Alla fine della "Genealogia della morale", Nietzsche aveva rinviato ad un'opera in preparazione, che sarebbe stata trattata sotto il titolo "Per la storia del nichilismo europeo: la volontà di potenza. Saggio su una trasvalutazione di tutti i valori"; ma in seguito aveva rinunciato a questo progetto. Nel 1956 Karl Schlechta avrebbe fornito una nuova edizione delle opere di Nietzsche in tre volumi, nella quale avrebbe ripubblicato il materiale della "Volontà di potenza", ma non nell'ordine sistematico arbitrario dato dai primi editori, bensì in quello cronologico. Questo criterio é quello seguito nell'edizione critica delle opere nietzscheane, che ha iniziato a comparire dal 1967 a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari e rende ora possibile uno studio di Nietzsche meno legato a pregiudiziali ideologici.

LA NASCITA DELLA TRAGEDIA
Nel 1871 Nietzsche pubblica la sua memorabile opera La nascita della tragedia. In essa il grande pensatore tedesco introduce per la prima volta la distinzione tra apollineo e dionisiaco: la prima delle due categorie, caratteristica del sogno, si traduce in immagini di serena compostezza e trova la sua manifestazione più compiuta nelle arti figurative; l'altra, propria dell'ebbrezza, attiene alle pulsioni sotterranee dell'inconscio e si esprime nella musica. Il classicismo tradizionale aveva privilegiato solo la componente apollinea dello spirito greco, ma dietro l'enigmatico sorriso del Dio solare (Apollo) si cela il volto mutevole del suo fratello notturno, il nume delle orge e dei misteri: nella tragedia in virtù di un miracolo metafisico della "volontà" ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l'uno nell'altro, e in questo accoppiamento generale si generano l'opera d'arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che é la tragedia attica. L'intuizione nietzscheana, pur espressa nello stile immaginoso e folgorante del profeta del superuomo, ha non solo il merito di aver gettato le basi per i successivi approfondimenti del problema, ma soprattutto quello di aver colto il carattere di coincidentia oppositorum, di sintesi dialettica dei contrari, che é il fulcro stesso del dramma greco, elemento questo che troverà riscontri precisi in molte delle teorie elaborate più tardi. Tra i libri pubblicati da Nietzsche, se escludiamo gli scritti filologici, questo è l'unico dedicato ai Greci. Nessun altro libro di Nietzsche ha alle spalle una preparazione così lunga e faticosa. Per dieci anni il giovane studioso vive tra i suoi libri, accetta la tradizione della filologia, ammonisce i suoi amici a reprimere la fantasia, a rispettare il metodo, a controllare le ipotesi. Poi scrive questo libro, dove tutto è contraddetto. In esso Nietzsche propone una nuova visione della classicità, non quella della cultura europea che riflette la civiltà greca della decadenza, quando la sua forza creativa si è estinta, ma l'originario spirito greco, fatto di due elementi: un elemento dionisiaco oscuro, irrazionale, indefinito e ambiguo, che avverte la caoticità dell'essere, la vitalità, la spontaneità, l'ebbrezza e che si esprime con la musica e la danza, un elemento apollineo, luminoso, ben definito, che produce un mondo di forme limpide e definite e che si esprime con la scultura e le arti figurative. Nella grande tragedia greca (Eschilo e Sofocle) si compongono i due impulsi: la musica vi rappresenta il dionisiaco, la vicenda dell'eroe la definitezza apollinea. Noi siamo circondati dallo spettacolo, tutto oggi è spettacolo, non soltanto il teatro, il cinema, la televisione. Oggi anche gli uomini d'azione guardano, più che non agiscano. Perciò si rimane atterriti , quando viene qualcuno a rivelare che cosa fu la tragedia greca. D'un tratto ci si accorge che quello non era soltanto un vedere, che quello spettacolo era l'essenza del mondo, contagiante, soverchiante gli oggetti che crediamo reali. Quindi la sensazione moderna "questo è soltanto uno spettacolo" è l'inverso dell'emozione della tragedia greca che faceva dire "questa è soltanto la verità quotidiana". L'uomo di oggi va a teatro per rilassarsi, per scaricarsi dal peso di tutti i giorni, perchè ha bisogno di qualcosa che sia soltanto spettacolo. Lo spettatore della tragedia greca veniva e "conosceva" qualcosa di più sulla natura della vita perchè veniva contagiato dall'interno, investito da una contemplazione, cioè da una conoscenza, che già esisteva prima di lui, che saliva dall'orchestra e suscitava la sua contemplazione, si confondeva con essa. E se la via dello spettacolo fosse la via della conoscenza, della liberazione, della vita insomma? Tale è la domanda posta da La nascita della tragedia. Già Euripide tende ad eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco, col predominio del raziocinio; poi Socrate e Platone sono "gli strumenti di dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci". Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività spontanea in nome della ragione. Un brano dall'opera "La nascita della tragedia" : Apollineo e dionisiaco. Questi nomi li prendiamo in prestito dai greci, i quali rendono percepibili all'intelligenza le profonde dottrine della loro visione estetica non già per il mezzo di concetti astratti, ma con raffigurazioni chiare ed incisive della mitologia. Alle loro due divinità che simboleggiavano l'arte, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra teoria, che nel mondo greco esiste un contrasto, enorme per l'origine e i fini, fra l'arte plastica, cioè l'apollinea, e l'arte non plastica della musica, cioè la dionisiaca; questi due istinti così diversi camminano uno accanto all'altro, per lo più in aperto dissidio, stimolandosi reciprocamente a sempre nuove e più gagliarde reazioni per perpetuare in sé incessantemente la lotta di quel contrasto, su cui la comune parola di "arte" getta un ponte che è solo apparente: finchè in ultimo, riuniti insieme da un miracolo metafisico prodotto dalla "volontà" ellenica, essi appaiono finalmente in coppia e generano in quest'accoppiamento l'opera d'arte della tragedia attica, che è tanto dionisiaca quanto apollinea. Uno degli aspetti dell'insuperabile fascino di quest'opera consiste proprio, probabilmente, nella peculiare mescolanza di filologia e filosofia, in una misura e con risultati che non trovano precedenti nella grande filologia-filosofia romantica. La Nascita della tragedia é insieme una reinterpretazione della Grecità, una rivoluzione filosofica ed estetica, una critica della cultura presente e un programma di rinnovamento di essa. Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura [...] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici. Proprio gli dei olimpici sono il mezzo con cui i greci sopportano l'esistenza, della quale hanno visto la caducità, la vicenda dolorosa di vita e morte, soffrendone in modo profondo a causa della loro esasperata sensibilità; gli dei olimpici giustificano la vita umana vivendola essi stessi, perchè la vivono in una luce senza ombre e fuori dall'angoscioso incombere della morte. La portata liberatoria delle figure degli dei olimpici si esercita solo se essi rimangono in un rapporto profondo con il dionisiaco, cioè con il mondo del caos al quale pure devono aiutarci a sfuggire. Il rapporto fra apollineo e dionisiaco é innanzitutto un rapporto fra forze all'interno dell'uomo singolo, che all'inizio dell'opera Nietzsche paragona agli stati del sogno (l'apollineo) e dell'ebbrezza (il dionisiaco); e che funziona nello sviluppo della civiltà come la dualità dei sessi nella conservazione della specie. Tutta la cultura umana é frutto del gioco dialettico di questi due impulsi. Sul piano della specifica teoria dell'arte, la dualità permette di leggere le varie fasi dell'arte greca in relazione alla lotta tra impulso dionisiaco e apollineo, lotta che si dispiega anche come conflitto tra popoli diversi, nel succedersi di invasioni e assestamenti che caratterizza la storia della Grecia arcaica. Così l'arte dorica si dispiega solo come risultato di una resistenza dell'apollineo agli assalti, che sono anche veri e propri attacchi di popoli invasori, del dionisiaco, dei culti orgiastici di origine barbarica. Nella lotta dei due princìpi avversi, la storia greca antica si suddivide in 4 grandi periodi artistici ; dall'età del bronzo, con le sue titanomachie e la sua aspra filosofia popolare, si sviluppò, sotto il dominio dell'istinto di bellezza apollinea, il mondo omerico; questa magnificenza "ingenua" venne di nuovo inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco, e di fronte a questa nuova potenza l'apollineo si elevò alla rigida maestà dell'arte dorica e della visione dorica del mondo. Al predominio dell'uno o dell'altro impulso si legano poi le diverse arti: se la musica é arte prevalentemente dionisiaca, la scultura e l'architettura sono apollinee, e così l'epopea. Ed é la tragedia attica che si prospetta come la più perfetta ed equilibrata sintesi tra i due impulsi: secondo Nietzsche essa nasce dal coro dei Satiri, ossia la processione sacra in cui i partecipanti si trasformano in finti esseri naturali. Questo mondo non é più un mondo di fantasia, situato arbitrariamente fra cielo e terra; bensì un mondo di realtà e credibilità pari a quella che possedeva, per il Greco religioso, l'Olimpo con tutti i suoi abitatori. Ma la tragedia greca va intesa, secondo Nietzsche, come coro dionisiaco che sempre di nuovo si scarica in un mondo apollineo di immagini. Ma il profeta del superuomo indaga anche perchè la tragedia ad un certo punto sia morta e giunge alla nota conclusione che l'autore di questo suicidio é stato Euripide, che ha portato lo spettatore sulla scena: ha trasformato il mito tragico in un susseguirsi di vicende razionalmente concatenate e comprensibili, di stampo sostanzialmente realistico. E se Euripide trasforma in senso realistico e razionale il mito tragico, lo fa per soddisfare le esigenza di un determinato spettatore, Socrate, il quale inaugura nella mentalità greca una visione razionale del mondo e delle vicende umane, secondo la quale al giusto non può accadere nulla di male, nè nella vita terrena nè nell'aldilà. E la stessa introduzione euripidea del prologo, con il quale spiega fin da principio l'azione, toglie alla tragedia ogni tensione epica e eccitante incertezza. E visto che tutto deve andare razionalmente, si intende anche la necessità del deus ex machina. Se c'é una struttura razionale dell'universo, come crede Socrate, allora il tragico perde il suo significato, non ha più senso. Nietzsche arriva a criticare il carattere unilaterale e riduttivo della cultura tedesca del suo tempo, in cui predomina l'uomo teoretico alla Socrate. Questi corrisponde al mondo della scienza e della divisione tecnica dei compiti; esso é caratterizzato dalla fiducia nella possibilità di correggere il mondo per mezzo del sapere, in una vita guidata dalla sola scienza. Il prototipo e il capostipite di tale modello culturale é proprio Socrate, che inaugura il metodo di comprensione della realtà mediante concetti. Con ciò l'arte stessa viene subordinata al concetto e si stempera nella visione delle forme apollinee, di cui non si coglie la radice profonda nel dolore e nella durezza della vita. Nietzsche vede la possibilità di una ripresa dello spirito tragico, andato perduto per colpa di Euripide e Socrate, una ripresa intesa come sapienza che si volge con immobile sguardo all'immagine totale del mondo, cercando di cogliere in essa l'eterna sofferenza come sofferenza propria. Si tratta di andare oltre i limiti della cultura teoretica, incapace di poter scrutare, sulla base della causalità, l'intima essenza delle cose e di superare lo spirito critico-storico della cultura presente,che si riduce a raccattare elementi disgregati dietro la spinta di una eccessiva brama di sapere, e riannodare il legame tra vita e mito. In questa fase del suo pensiero, Nietzsche risulta particolarmente influenzato dalla metafisica di Schopenhauer, con la distinzione tra mondo della rappresentazione e mondo della volontà, sia dal dramma musicale wagneriano, che intende essere opera d'arte totale , con la fusione di musica , mito, azione, testo poetico e plasticità scenica.

CONSIDERAZIONI INATTUALI
L'uomo é difficile da scoprire, ed egli é per se stesso la più difficile delle scoperte.
Con lo sguardo rivolto alla Grecia antica, Nietzsche si sente alieno al mondo moderno, erede dell'ottimismo socratico, e intraprende una battaglia contro il presente e la sua mancanza di vera cultura, scrivendo le "Considerazioni inattuali": esse sono inattuali poichè enunciano tesi contrastanti con i valori dominanti e operano per costruire un nuovo futuro, anziché per avere successo nell'immediato e conquistare l'attualità. e "Considerazioni inattuali" sono quattro volumi che nascono come opere di transizione e di formazione, in cui la mancanza di uno stile autonomo, inconfondibile, si sente. Nel secondo, più interessante, dal titolo Sull'utilità e il danno della storia per la vita tratta del sapere storico, Nietzsche sostiene che i fatti in sé sono stupidi: occorre l'interpretazione. Sono le teorie ad essere intelligenti. Il senso della storia è spesso nemico della vita, perchè ci rende schiavi del passato, passivi. Ne consegue una sfiducia nella propria capacità creativa, e il formarsi di una pura erudizione da enciclopedie ambulanti, che annulla la personalità: "nessuno osa più esporre se stesso, ma ciascuno prende la maschera di uomo colto, di dotto, di poeta". Si diventa così "uomini che non vedono quello che anche un bambino vede". In particolare riconosce che: la storia archeologica si ferma al mediocre, si attarda ad ammirare il passato, anche nei suoi aspetti mediocri e meschini, per giustificare la presente mediocrità la storia monumentale cerca nel passato esempi e modelli positivi, che mancano nel presente, onde poter guardare al futuro con sicurezza che ciò che è stato possibile in passato lo sarà ancora solo la storia critica è davvero positiva, in quanto non si limita a favorire l'imitazione del passato, anche eroico, ma lo vuole superare. Nietzsche non nega la storia, ma la vuole subordinata alla vita.. [...] Ma che la vita abbia bisogno del servizio della storia, deve essere compreso altrettanto chiaramente quanto la proposizione che sarà più tardi da dimostrare - secondo cui un eccesso di storia danneggia l'essere vivente. In tre riguardi al vivente occorre la storia: essa gli occorre in quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di liberazione. A questi tre rapporti corrispondono tre specie di storia, in quanto sia permesso distinguere una specie di storia monumentale, una specie antiquaria e una specie critica. [...] La storia occorre innanzitutto all'attivo e al potente, a colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non può trovarli fra i suoi compagni e nel presente. [...] L'uomo invidia l'animale, che subito dimentica [...] l'animale vive in modo non storico, poiché si risolve nel presente [...] l'uomo invece resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte. Per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non solo luce, ma anche oscurità. La serenità, la buona coscienza, la lieta azione, la fiducia nel futuro dipendono [...] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto...
Così dice Nietzsche a proposito delle "Considerazioni inattuali" nella propria autobiografia, "Ecce homo": "Sono scritti sostanzialmente polemici. Dimostrano che io non ero un sognatore, che mi fa piacere anche di sguainare la spade; forse anche che ho il polso pericolosamente sciolto. Il primo assalto (1873) fu diretto contro la cultura tedesca che già allora consideravo con un disprezzo senza limiti. Senza senso, senza sostanza, senza scopo: una semplice opinione pubblica. [...] La seconda considerazione inattuale (1874) mette in luce ciò che vi é di pericoloso, ciò che corrode e avvelena la vita nel nostro modo di coltivare la scienza: la vita, malata a causa di questo congegno, di questo meccanismo privo di personalità, a causa dell'impersonalità del lavoratore e della falsa economia nella divisione del lavoro. Il fine: la cultura, va perduto; il mezzo: il movimento scientifico moderno, ne é barbarizzato. [...] Nella terza e nella quarta Considerazione inattuale, come indici di un concetto superiore di cultura, del ristabilimento del concetto di cultura, sono opposti due casi di egoismo, di educazione di se stessi, due tipi per eccellenza fuori dal loro tempo, pieni di sovrano disprezzo per tutto ciò che intorno a loro si chiamava impero, cultura, cristianesimo, Bismarck, successo; dico Schopenhauer e Wagner, oppure, con una parola sola, Nietzsche."
E nelle Considerazioni inattuali uno dei temi portanti é quello riguardante la storia; ora per Nietzsche "non esistono fatti, ma solo interpretazioni", vale a dire che ogni fatto che ci viene tramandato o semplicemente raccontato non é mai il fatto in sè, ma é sempre un'interpretazione da parte di chi ce lo racconta. La cultura moderna appare a Nietzsche soprattutto in preda ad una "ipertrofia" del sapere storico: la malattia storica . Alla descrizione e alla cura di questa nociva malattia, Nietzsche tenta di provvedere con la seconda delle "Considerazioni inattuali", intitolata "Sull'utilità e sul danno della storia per la vita". Essa é inattuale perchè smaschera gli elementi potenzialmente dannosi contenuti in ciò che per l'epoca presente rappresenta un vanto: la formazione e la conoscenza storica. Il criterio per formulare questa valutazione é dato dalla vita: la storia favorisce e incrementa oppure blocca e atrofizza la vita e l'azione? L' oblio per Nietzsche é necessario alla vita: per poter vivere nel presente, bisogna poter dimenticare il passato, che altrimenti ci sovrasterebbe e paralizzerebbe. Questo non significa che la storia, fondata sulla memoria del passato, sia inevitabilmente sempre perniciosa: la cosa importante é ricordare nel momento giusto e nella misura adeguata. La storia deve quindi essere posta al servizio della vita, non viceversa: il tema della vita e del suo primato su qualsiasi altra cosa é il filo che lega l'intera produzione nietzscheana. Per valutare il carattere positivo o negativo della storia occorre assumere come criterio di riferimento e di misura la vita, ma per comprendere il posto da assegnare alla storia nella vita, senza che ciò si tramuti in un danno per la vita stessa, occorre partire da un chiarimento del rapporto che intercorre tra vita e oblio. La vita, come accennavamo, può fiorire solo grazie all'oblio, perchè é questo che permette di immergersi totalmente nella vita, nell'immediatezza del presente: se non c'é oblio la vita diventa impossibile perchè rimane paralizzata dal passato. La storia invece é memoria: essa dovrà, dunque, entrare a far parte della vita solo nella misura in cui incrementerà e favorirà la vita stessa; al di là di questo, essa genererà solo un blocco e un'atrofizzazione della vita. Nietzsche distingue tre tipi di storia, ognuno dei quali é necessario per il vivente, ma può anche svolgere una funzione negativa nei confronti della vita. E Nietzsche distingue tra 3 forme di storia: la storia archeologica si ferma al mediocre, si attarda ad ammirare il passato, anche nei suoi aspetti mediocri e meschini, per giustificare la presente mediocrità; la storia monumentale cerca nel passato esempi e modelli positivi, che mancano nel presente, onde poter guardare al futuro con sicurezza che ciò che è stato possibile in passato lo sarà ancora; solo la storia critica è davvero positiva, in quanto non si limita ad favorire l'imitazione del passato, anche eroico, ma lo vuole superare: essa trascina il passato davanti al tribunale, lo giudica e lo condanna. Il tema storico, nelle Considerazioni inattuali, é davvero forte e sentito, e Nietzsche arriva a dire, come in parte già accennato all'inizio: " l'uomo invidia l'animale, che subito dimentica [..] l'animale vive in modo non storico, poiché si risolve nel presente [..] l'uomo invece resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte. Per ogni agire ci vuole oblìo: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non solo luce, ma anche oscurità. La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [..] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto. " Ma analizziamo più in profondità le 4 considerazioni inattuali che costituiscono il testo: Ecco, subito, venirci incontro nella prima considerazione Davide Strauss, confessore, scrittore, filisteo della coltura, razionalista, senza fede, senza passione, adiposo di ottimismo, incapace di comprendere la nuova spiritualità, rappresentante perfetto della indifferenza, non originale, diffidente, avaro, soddisfatto, attaccato a irti squallori di schemi logici, non vivente l'attualità della vita. L'autore di Vom alten und neuen Glauben è antipatico come ogni omiciattolo che vuole riuscirci troppo simpatico. Nietzsche nella Prima Inattuale condanna la scienza e la storia. La realtà, Egli scrive, è dramma. E lo viene provando con la vita che fin d'ora (1873) si manifesta ardua. La Seconda Inattuale è pungente di ostilità, in nome della natura, contro il sapere storico. La Grecia presocratica e la coltura tragica, di cui Nietzsche è l'apostolo nella Germania del secolo decimonono, riempiono di attualità questo scritto del '73-'74 intorno all'utilità e al danno della storia per la vita. L'assoluto nietzscheano che squilla nell'Origine della Tragedia è non storico e soprastorico insieme. In questa Seconda Inattuale il problema storico è posto naturalisticamente come problema di utilità per la vita. Nietzsche odia i famuli alla Wagner goethiano. Di fronte alla storia Nietzsche afferma la vita. Vita è agire, vita è dimenticare. La vita è antistorica per Nietzsche. La creazione della vita da parte del genio forma il tessuto della Terza Inattuale. La coscienza etica si afferma in senso individualistico. L'individuo apporta l'eticità vivendo liberamente, in libertà geniale. L'avvento del genio giustifica di per sé stesso l'esistenza. Rammentiamoci del Prometeo incatenato di Eschilo e del Prometeo goethiano. L'individuo geniale è intuito da Nietzsche padrone e creatore della storia. Spinto dal turbine delle passioni ardenti, volatore sull'ala degl'istinti, volontario come una creazione dal nulla, agitantesi come quelle freie Mächle ohne Ethik che Nietzsche abbraccia religiosamente, Egli segue, unica norma, il comando della concreta realizzazione del proprio essere. Intorno all'uomo di genio il deserto: quale contatto tra l'unico e le sparute determinazioni dei valori degli sparuti uomini affaccendantisi? Artista, il genio è libero da ogni legge: l'arte è vita in senso religioso. L'estetica tragica è, sappiamo già, eroica. V'è un'antitesi granitica tra quanto afferma il genio, e la negazione filistea. Irrazionalissimo, filosofo, poeta, eroe della verità, risolutamente opposto alla freddezza neutra di neutri scienziati, ecco una splendida imagine di genio ribelle in "Arthur Schopenhauer", che conosce e accetta la verità che atterrisce. Lo Schopenhauer della "Terza Inattuale" ("Schopenhauer educatore") è tutto nietzscheano: è uno Schopenhauer ridotto al sistema nervoso della volontà che scatta negl'impulsi lucidi di Nietzsche. Schopenhauer educa Nietzsche creando la coscienza individuale. Educare vuol dire rivelare la personalità del discepolo. Autobiografica, questa Terza Inattuale ci chiarifica la potenza, veramente geniale, di Nietzsche che interpreta soggettivamente Schopenhauer, cercando in lui la soluzione di problemi propri. Contro l'educazione e la coltura contemporanee vibra Nietzsche i suoi attacchi violenti. Si può parlare di "alchimia psicologica", a questo riguardo? Comunque, anche il Castiglioni nel suo lucido saggio ammette la giustezza nietzscheana della concezione etica del genio. Del quale si celebra, dionisiacamente, l'apoteosi nella Quarta Inattuale. L'eroe è glorificato in Riccardo Wagner a Bayreuth. Il mito wagneriano è ardente di ispirazione prometea. Wagner è chi afferma Dioniso. L'antitesi Dioniso-Apollo si riflette tragicamente anche in Wagner. L'irrazionale avvampa di ragione intima, misteriosa. Anche Wagner, come Prometeo, è plasmatore di uomini tragici che superano l'umanità.

ALLE ORIGINI DELLA MORALE
La pubblicazione di "Umano, troppo umano" (1878), dedicato a Voltaire, segna una vera e propria svolta nella filosofia di Nietzsche. Egli continua l'aspra polemica nei confronti della cultura del proprio tempo e delle esaltazioni del progresso storico, ma non scorge più nell'arte la via per uscire dalla decadenza, bensì nella scienza. Il pensatore tedesco ora guarda con interesse e simpatia, da una parte, all'illuminismo e alla tradizione dei moralisti francesi del Seicento e del Settecento e, dall'altra, alle scienze naturali. In questa fase la scienza é valutata in modo positivo da Nietzsche non tanto perchè in grado di pervenire a conoscenze oggettive, quanto come forma di atteggiamento metodico e, insieme, libero e spregiudicato di fronte ai valori correnti, ai presupposti, alle abitudini e alle regole imposte dalla società. Infatti, la scienza stessa ha la sua origine e la sua giustificazione nei bisogni della vita e i suoi risultati si sono storicamente trasformati in condizioni di vita, cosicché la conoscenza si é imposta come un bisogno tra gli altri, essenziale per vivere e, in quanto tale, ha assunto un potere sempre più vasto nel mondo moderno. Ma questo potere crescente non dipende dal fatto che la scienza sia un sapere disinteressato, che abbia come scopo la "verità" e sia capace di carpirla. Intanto, é necessario osservare, a parere di Nietzsche, che anche l' "errore" può essere utile alla vita e che la stessa promozione della scienza nell'età moderna é avvenuta grazie ad alcuni errori inconsapevoli. Alla scienza, infatti, sono stati erroneamente attribuiti il potere di cogliere la bontà e la sapienza divina che regge l'universo e la prerogativa di essere lo strumento fondamentale per realizzare la felicità umana. Sono questi errori che hanno fatto aumentare l'importanza della scienza nella vita moderna. In realtà, la rappresentazione del mondo, fornita dalle scienze, non coglie affatto le cose come sono in se stesse, in quanto non può andare oltre l'apparenza. Anche la scienza, infatti, ben lontana dall'essere disinteressata e pacifica e, quindi, in contrasto con i presunti istinti cattivi degli uomini, nasce dal bisogno vitale di avere certezze e rassicurazioni, per poter sopravvivere: é tale esigenza che ha fatto escogitare i principi erronei sui quali si fonda la scienza, come l'esistenza di legami causali tra cose ed eventi o la possibilità di numerare e di compiere astrazioni e generalizzazioni, al fine di cogliere presunte essenze stabilite delle cose. Ammettere che la scienza possa nascere da errori e finzioni pare in contrasto con i consueti giudizi di valore, eppure é possibile, secondo Nietzsche, che l'apparenza, l'illusione, l'interesse personale abbiano per la vita un valore superiore alla verità e al disinteresse, anzi é possibile che i due piani siano intrecciati, anziché contrastanti. La filosofia e la scienza hanno la loro origine più profonda e recondita, più che nell'istinto di conoscenza, in un istinto vitale che si é servito della conoscenza come strumento per la vita stessa. Soprattutto il dominio della morale si é costruito, stando a Nietzsche, a partire da presupposti ed errori inconsapevoli, che la stessa tradizione filosofica non ha mai messo in discussione. Questo compito può appartenere solamente ad una nuova filosofia di "spiriti liberi", che assuma l'aspetto di una sorta di chimica delle idee e dei sentimenti morali, orientata all'individuazione analitica delle componenti. Ma questa analisi deve avvenire in maniera storica, ossia procedere a rintracciare le condizioni che hanno reso possibile il sorgere di queste idee, scoprendone l'origine e ricostruendone storicamente le trasformazioni. Si tratta, in altre parole, di elaborare una "genealogia della morale", senza assumere l'uomo di oggi come un'entità fissa e immutabile nel tempo: anche l'uomo per Nietzsche, come tutte le cose, é divenuto e diviene. Ciò significa che non esistono valori assoluti, ma che i valori e le norme morali, alle quali la vita viene di volta in volta assoggettata, hanno la loro radice nella vita stessa e, quindi, sono il prodotto di fattori "umani, troppo umani". Una filosofia storica é, dunque, in grado di mostrare che il mondo non possiede di per sè significato morale, ma lo ha assunto storicamente. Dare al mondo un significato morale significa, infatti, interpretare la natura in senso antropomorfico, ovvero orientata finalisticamente, proprio come l'agire umano, a realizzare scopi di per sè buoni, ma le nozioni di buono e cattivo sono estranee in quanto tali alla natura: "Il divenire é di per sé innocente". La morale scaturisce, quindi, da una falsa interpretazione della natura, ossia da errori, che hanno portato l'uomo a distinguersi dagli animali e che si sono successivamente fusi con gli istinti, i quali non sono né buoni né cattivi e, sovente, in contraddizione tra loro. In particolare, l'uomo é stato educato alla moralità, secondo Nietzsche, tramite un processo che lo ha guidato ad attribuire a se stesso qualità puramente immaginarie, arrivando a concepirsi come un io sostanziale e unitario, che possiede una preminenza gerarchica sulla natura e sugli altri animali. In "Al di là del bene e del male", Nietzsche precisa che alla base delle filosofie dogmatiche vi sono superstizioni popolari, come é quella circa l'esistenza dell'anima, oppure giochi di parole o, ancora, generalizzazioni arbitrarie a partire da pochi dati. Tale é anche la presunta certezza dell' "io penso" cartesiano: é difficile infatti, se non impossibile, a parere di Nietzsche, che sia io a pensare, che debba esistere qualcosa che pensi e che pensare sia l'attività, e l'effetto di un essere concepito come causa del pensiero. Per sostenere ciò dovrei già sapere che cosa sia il pensare; né si può escludere che un pensiero venga per iniziativa propria, non perchè sono io a volerlo. Tra queste concezioni illusorie e fallaci rientra l'errore fondamentale di pensare che esista una libertà del volere: da ciò scaturisce la credenza nell'esistenza di azioni morali di cui ciascuno sarebbe responsabile. Questa credenza presuppone che chi compie un'azione, la compia sulla base di una conoscenza. In questo senso Socrate e Platone avevano avuto il pregiudizio che alla retta conoscenza dovesse seguire la retta azione; ma questo, secondo Nietzsche, é continuamente smentito dai fatti, il che dimostra che non esiste ancora un ponte che unisca conoscenza e azione. Ciò significa che nello svolgimento dell'azione entrano in gioco fattori non riducibili alla sola conoscenza, i quali sfuggono all'agente: la scelta di compiere una certa azione non é mai, dunque, del tutto libera e consapevole. La conclusione cui Nietzsche perviene é che non si può dimostrare che il vero movente delle azioni risieda nella libertà del volere; esso va piuttosto ricercato nell'istinto di conservazione o, meglio, nell'istinto che spinge a procurarsi piaceri e ad evitare dolori. Ma, se é così, cade la possibilità di valutare moralmente un'azione sulla base del fatto che essa sia scelta liberamente. Quale é allora la base dei nostri giudizi morali? Alcune azioni dannose compiute nei nostri confronti sono da noi giudicate moralmente "cattive" in base all'assunto erroneo che chi le compie a noi sia dotato di una volontà libera: da questa nostra credenza scaturisce il desiderio di vendetta. In realtà queste azioni, che sembrano "cattive" a chi le subisce, sono compiute dall'agente al fine di procurare piacere a se stesso, non dolore a un altro; ma l' errore intellettuale di credere che alla base delle azioni ci sia la libertà del volere porta ad attribuire maggior valore alle azioni considerate libere e, quindi, ad imputare all'agente libero gli effetti della sua azione anche sugli altri, attribuendogli la responsabilità di essi. Ma così, quando si formula un giudizio di valore su un'azione, non si assume più come unità di misura l'agente stesso e il fatto che tale azioni risulti utile o dannosa per lui, ma l'effetto di essa sugli altri, ovvero se é utile o dannosa per essi. Questo comporta l'acquisizione di una posizione di primato degli altri, ossia della società, rispetto all'individuo. Questo significa che la società per imporsi ha dovuto lottare contro la ricerca egoistica del piacere e dell'utile da parte degli individui e, per questa via, é pervenuta ad attribuire una superiorità di valore a moventi dell'azione diversi dall'utile e dal piacere. Si é così formata la credenza erronea che la morale non si sia sviluppata a partire dall'utilità, senza rendersi conto che non si é trattato di altro che della sostituzione e affermazione dell'utile sociale nei confronti dell'utilità puramente individuale. La società é così divenuta l'officina fondamentale dei giudizi di valore. Con l'avvento della società prende avvio l'istituzione di una gerarchia tra i beni: storicamente sono variate le entità considerate beni, ma la gerarchia di valore tra esse é sempre stata fondata, secondo Nietzsche, sulla distinzione tra i più forti che dominano e i più deboli che sono assoggettati, "i signori e gli schiavi": i primi sono detti "i buoni" e i secondi "i cattivi". Un'analisi dei termini, usati nelle varie lingue per designare chi é buono e chi é cattivo, mostra, a parere di Nietzsche, che per buoni s'intendevano originariamente i nobili, i più forti, i più ricchi e i più potenti e per cattivi, viceversa, i deboli, gli ignobili, i poveri, gli schiavi. Ciò confuterebbe la credenza che il giudizio di "buono" sia formulato originariamente da coloro ai quali é data prova di bontà, ossia dai destinatari di azioni altruistiche. In realtà, la matrice di questo giudizio é nei "buoni" , ossia nei più potenti, che in quanto tali giudicano se stessi buoni. Sono questi a vietare a tutti gli altri di agire arbitrariamente perseguendo il proprio piacere individuale, perchè ciò metterebbe a rischio il loro potere e la loro autorità. Bene o male é allora in primo luogo tutto ciò che, rispettivamente, garantisce e rafforza o minaccia e indebolisce il potere del gruppo dominante. Ciò che, in linea generale, induce i più ad accogliere la gerarchia dei valori imposta dai "signori" é la paura: in questa situazione essi non misurano le cose e le azioni in base al piacere o al dispiacere che esse procurano loro, ma fingono di condividere i giudizi di valore dominanti. Col tempo questi giudizi si trasformano in abitudini, inducendo ad attribuire un valore supremo al sacrificio di sé e all'altruismo. Ciò vuol dire che i più non fanno nulla per se stessi, ma soltanto per conformarsi ad un modello di uomo, che é solo una finzione costruita dalla società e da chi detiene il potere per il proprio vantaggio. Ogni azione é in sé unica, individuale e irripetibile, ma appena é compiuta coscientemente, non sembra più tale, bensì tende a conformarsi alle opinioni e ai valori della maggioranza, ovvero ad un modello imposto dalla società. Nella "Gaia scienza" dice Nietzsche: "Solo come animale sociale l'uomo imparò a diventare cosciente di sé": la coscienza non appartiene all'uomo in quanto individuo, ma a ciò che di comunitario e gregario é in lui. E' questo che lo induce a subordinarsi all'utile della comunità, dando luogo a quello che Nietzsche chiama "istinto del gregge". Con l'introduzione della morale si apre dunque un solco fra la natura e la società, cosicché la morale viene a configurarsi come strumento di dominio e repressione dell'individualità, soggiogata alla comunità. Con questa tesi, Nietzsche si oppone a ogni tentativo ottimistico di costruire una storia edificante, in cui l'istituzione della società, la formazione dell'etica e dello Stato rappresentino tappe di uno sviluppo lineare e di un progressivo perfezionamento dell'umanità rispetto ad una condizione primitiva e retrograda. Al contrario, secondo Nietzsche, la civiltà presente é divenuta solo una forma generale di addomesticamento.

IL CRISTIANESIMO
Da quando vi sono uomini, l' uomo ha gioito troppo poco: solo questo, fratelli, é il nostro peccato originale!
Nel corso della storia umana sono state inventate diverse tavole di valori, ma in tutte le sue trasformazioni storiche, la morale ha sempre rappresentato una forma di costrizione esercitata sull'individuo. Una svolta decisiva in questa vicenda storica é rappresentata dal cristianesimo. Nietzsche lo interpreta come erede del platonismo: costruendo l'idea dell'esistenza di un mondo intellegibile, separato da quello sensibile e materiale, il platonismo aveva indicato nel primo il criterio della verità e la sede del valore, riducendo l'unico mondo, quello sensibile, a pura apparenza di valore. Su questo punto Nietzsche tornerà ripetutamente ancora nei suoi ultimi scritti, evidenziando come con il platonismo e la metafisica il mondo vero si era trasformato in una favola: e Nietzsche può amaramente affermare "Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? Quello apparente forse?... Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!". Ma con le sue tesi centrali il platonismo aveva anche gettato le basi per una morale della rinuncia, che il cristianesimo avrebbe eredito e sviluppato ulteriormente: per questo aspetto il cristianesimo appariva a Nietzsche come un platonismo per il volgo, coniugato tuttavia con la tradizione ebraica. Questa aveva introdotto nella storia della morale la rivolta degli schiavi: gli ebrei, infatti, rappresentano emblematicamente, a parere di Nietzsche, gli impotenti, ai quali é negata l'azione e che pertanto provano odio nei confronti dei potenti e del mondo e si consolano con una vendetta immaginaria. In tal modo, si sarebbe costituita la "morale del risentimento", giunta al suo trionfo con il cristianesimo: secondo Nietzsche, essa ha introdotto una nuova tavole dei valori, ma si tratta di una morale di schiavi, perchè in essa l'azione, anzichè prorompere dall'individuo forte e sicuro, che dice sì a se stesso e alla vita, nasce solamente come reazione contro ciò che é esterno, contro gli altri e, in quanto tale, é soltanto una negazione della vita e della forza. Il soggetto che adotta i valori della morale del risentimento, infatti, riesce ad accettare la vita solo attribuendo ad altri la colpa della propria infelicità. Dal risentimento si sviluppa il senso di colpa, nel quale l'aggressione, anzichè scaricarsi all'esterno sugli altri, viene diretta su se stessi: a questo tema é dedicata, in particolare, la seconda dissertazione della "Genealogia della morale. Fortissima, come già abbiamo accennato, é l'importanza che Nietzsche attribuisce all'oblio: esso é una funzione attiva, che rende liberi dai vincoli del passato e, quindi, lascia posto al nuovo. Il senso di colpa, la "cattiva coscienza", si radica invece nella memoria. La nozione di colpa ha origine, a parere di Nietzsche, dal concetto di debito, ossia di ciò che é dovuto per compensare un danno materiale. Per lungo tempo, nella storia umana, le pene furono inflitte per ira, non perchè si credeva che l'autore di un danno ne fosse responsabile, in quanto, essendo libero, avrebbe potuto agire diversamente. Allora il piacere di far violenza all'autore di un danno e il dolore che questi ne riceveva erano considerati equivalenti in valore al danno subito. In quelle epoche arcaiche, l'umanità non si vergognava della sua crudeltà; é il cosiddetto "incivilimento", invece, stando a Nietzsche, che ha condotto la bestia-uomo a vergognarsi di tutti i suoi istinti. Con l'apparizione del Dio cristiano fa la sua comparsa il senso di colpa, in quanto il dolore e l'infelicità sono giustificati imputandoli ad una colpa commessa nei confronti dell'entità suprema, Dio, che diventa quindi il massimo creditore. Tratto geniale del cristianesimo é, a parere di Nietzsche, il fatto che sia il creditore a sacrificarsi per amore del debitore, ovvero Dio stesso, che si fa crocifiggere per risarcire la colpa dell'uomo. La colpa trova la sua sede più propria nell'interiorità della coscienza, più che nell'atto materialmente compiuto, ma, in tal modo, gli istinti vengono indirizzati verso l'interno, in modo da impedire che essi si sfoghino all'esterno, sugli altri: gli istinti dell'uomo primitivo, l'inimicizia, la crudeltà, il piacere dell'aggressione, finiscono così per rivolgersi contro l'uomo stesso, che si rode e perseguita se stesso; ma Nietzsche afferma in "Così parlò Zarathustra": "Da quando vi sono uomini , l' uomo ha gioito troppo poco : solo questo , fratelli , é il nostro peccato originale". Con il cristianesimo trionfa, dunque, una nuova malattia, la più grave: la sofferenza che l'uomo impartisce a se stesso, e così il fine della moralità viene ad essere riposto non più nella felicità terrena, bensì nell'infelicità terrena: "La decisione cristiana di trovare il mondo brutto e cattivo, ha reso brutto e cattivo il mondo "("La gaia scienza"). L'uomo e la vita sono subordinati a un principio trascendente e si genera così la malafede, per cui il dovere che impone di fare ciò che non si vuole viene travestito come amore, cosicché ciò che non si vuole viene fatto per amore di Dio e degli uomini, considerati uguali davanti a Dio. Su questa base si arriva a conferire valore a ciò che é disinteressato, all'altruismo, al sacrificio di sé per gli altri e agli ideali ascetici. Fin da Platone i filosofi per Nietzsche hanno provato odio contro la sensualità e il corpo: questo odio, Nietzsche lo ritrova dominante anche in filosofi e artisti da lui prima venerati, come Wagner e Schopenhauer. Il cristianesimo aveva progressivamente potenziato gli ideali ascetici, che in una fase iniziale avevano svolto una funzione positiva, dal momento che avevano consentito, ad un'epoca stanca ed esausta, di rianimarsi e ritrovare nuovi stimoli vitali proprio nella lotta contro un nuovo nemico, la interiorità di ciascuno. L'ideale ascetico, tuttavia, tratta la vita "come un cammino sbagliato" e rappresenta il massimo di risentimento, in quanto vorrebbe spadroneggiare sulla vita, usando la forza della vita stessa per asservirla. Esso é, dunque, costitutivamente legato alla ricerca della sofferenza e conduce alla distruzione della salute e del gusto. Ma in tal modo il cristianesimo manifesta la sua ostilità nei confronti della vita, mascherando la propria nausea per essa con la sua fede in un'altra vita: nel "Crepuscolo degli idoli" Nietzsche dirà che la vita finisce dove inizia il "regno di Dio". Se il centro di gravità del tutto é spostato fuori della vita, nell'al di là, cioè nel nulla, si elimina il centro di gravità della vita in generale; nel cristianesimo la vita é concepita come qualcosa di "essenzialmente immorale" e proprio per questo si contrappone ad essa la morale del disinteresse, dell'altruismo e della compassione per la sofferenza. In realtà, per Nietzsche si prova compassione per gli altri solamente perchè inconsciamente si pensa a se stessi. Il cristianesimo é, dunque, una religione per sofferenti, che mantiene l'uomo al gradino più basso, reprimendo la virilità, la brama di potere e, in generale, ogni istinto del tipo di uomo elevato, intralciando la selezione e favorendo i più deboli. Esso rappresenta dunque il nichilismo della debolezza: l'essere stanchi dell'uomo e ridurre a niente la vita. Secondo Nietzsche, le moderne tendenze democratiche e socialistiche sono eredi dirette della morale cristiana: egualitarismo e umanitarismo hanno la loro matrice comune nell'idea dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio, la quale ha segnato il destino dell'Europa. Grazie ad essa, i mediocri e i deboli hanno imparato a considerare se stessi come meta e culmine, come senso della storia, e si sono sentiti giustificati nella loro rinuncia a diventare più grandi. Ciò significa che gli uomini del risentimento, la cui parola d'ordine é il primato della maggioranza, il livellamento e l'abbassamento dell'uomo, rappresentano la retrocessione dell'umanità, il tramonto dell'uomo. In questa situazione, l'utilità comune, ovvero quello che il pensatore tedesco chiama l'utile dell' "armento", é la base delle valutazioni morali: esso conduce a riporre il compito dello Stato nella protezione degli individui e a ricercare il benessere per il maggior numero possibile di uomini. Il progresso viene allora considerato il raggiungimento di un momento in cui non ci sia più nulla da temere: il fine è, pertanto, la conservazione della collettività e il singolo viene educato al bene comune. Alla base di tutto questo per Nietzsche non vi é l'amore del prossimo, ma la paura, che induce a valutare come cattivo tutto ciò che innalza l'individuo sopra l'armento e, quindi, ad opporsi a ogni pretesa e privilegio individuale, a favore di una morale dell'equità e di una drastica repressione dei desideri individuali. Da ciò scaturisce l'infiacchimento dell'umanità, che viene abbassata al livello della mediocrità: l'ultimo frutto di questo processo é, per Nietzsche, l'emancipazione della donna. In realtà, a suo parere, parlare di "bene comune" é una contraddizione in termini, perchè il bene non può che essere individuale (per definizione). In una civiltà superiore, afferma in "Umano, troppo umano", non é essenziale "il punto di vista della ripartizione della felicità": una civiltà superiore può sorgere solo dove si afferma una distinzione gerarchica tra una casta dominante oziosa e una casta servile costretta al lavoro. La "morale dei signori", ovvero dei nobili, delle individualità forti, che giudicano buone le cose solo a partire da se stessi, poggia dunque su quello che Nietzsche chiama il "paqos della distanza" nei confronti di tutto ciò che é inferiore, mediocre e comune. Al fondo di queste razze aristocratiche sta la "belva bionda, avida di preda e di vittoria, che di tanto in tanto deve balzar fuori. A volte Nietzsche indica nella guerra l'unico mezzo odierno per sottrarre i popoli al loro infiacchimento, ma in generale egli é contrario ai nazionalismi, agli odi razziali e all'antisemitismo, e la figura di Nietzsche trasmessaci dal Nazismo non ha molto a che vedere con quella reale. In "Al di là del bene e del male", egli auspica un'Europa capace di acquisire una volontà unica, che ponga fine alla commedia degli staterelli e della democrazia, ma ciò può avvenire, a suo avviso, solo grazie ad una nuova casta dominante: il problema europeo é "la disciplina educativa di una nuova classe governante d'Europa" . Paradossalmente, la democratizzazione crescente finisce per formare un tipo di uomo predisposto alla schiavitù e, quindi, produce al tempo stesso un'involontaria organizzazione per allevare tiranni e uomini forti, anche e soprattutto in senso spirituale. Solo una società aristocratica, secondo Nietzsche, potrà condurre, come ha sempre condotto sino ad oggi, ad una elevazione del tipo "uomo"; la convinzione di una sana aristocrazia é, infatti, che "la società non può esistere per amore della società", ma per consentire l'innalzamento di individui superiori. Sono queste tesi che solleveranno maggiore impressione nei primi anni della fortuna di Nietzsche: riprendendone alcune, quali l'antidemocrazia e l'antiugualitarismo, e lasciandone in disparte altre, come il rifiuto dell'antisemitismo, il Nazismo non esiterà nel secolo successivo di appropriarsi dell'eredità del suo pensiero.

MORTE DI DIO E SUPERUOMO
Ma é ancora attuabile la costruzione di una civiltà superiore? La scienza moderna, a parere di Nietzsche, é soltanto la forma più recente e nobile dell'ideale ascetico, essa ha ancora fiducia nelle verità come valore in sé, superiore ad ogni altro e, quindi, non é in grado di contrastare questo ideale. E' tuttavia possibile quella che Nietzsche definisce gaia scienza , che si rivolge ai senzapatria, figli dell'avvenire e a disagio nel proprio tempo, amanti del pericolo e dell'avventura, avversi a ogni ideale, i quali non hanno intenzione di regredire ad alcun passato né lavorare per il progresso, ossia per l'affermarsi dell'uguaglianza e della concordia tra gli uomini. Per raggiungere questo stato di gaiezza bisogna abbandonare la morale corrente, porsi liberi al di là del bene e del male e quindi staccarsi da parecchie cose, ma per far questo occorre acquisire una condizione di leggerezza: e Nietzsche paragona questo stato a quello della "danza". La prima domanda che é bene porsi per costruire una gaia scienza é se i cosiddetti valori morali siano segno di impoverimento o di pienezza della vita. Già in "Umano, troppo umano" il pensatore tedesco formula una serie di alternative, che condurranno la sua riflessione successiva: "Non si possono capovolgere tutti i valori? Ed é forse bene il male? E' Dio solo un'invenzione e una finezza del diavolo? E' forse tutto in ultima istanza falso? E se noi siamo degli ingannati, non siamo per ciò stesso anche ingannatori? Non dobbiamo anche essere ingannatori?" Ricostruendo la genesi della morale a partire dagli errori che la rendono possibile, Nietzsche ha provato a mostrare che proprio essa rappresenta il maggior pericolo per la vita e per l'uomo. Ma il capovolgimento radicale, la trasvalutazione ( n tedesco umwertung) dei valori morali può avvenire portando fino in fondo l'impulso dell'uomo teoretico alla verità, ossia quell' "incendio" che, a partire da Platone e dalla fede cristiana, si é ingigantito fino a noi: é proprio l'amore per la verità che consente di smascherare come errori le stesse verità che sono alla base della morale tradizionale, in primis la verità stessa, poi la giustizia, l'amore per il prossimo e Dio. E liberarsi dall'errore vuol dire liberarsi anche dalla credenza erronea che esista la verità e, quindi, non comporta la sostituzione di tale errore con un'altra presunta verità: vuol dire, al contrario, andare oltre la contrapposizione fra verità ed errore, che traggono entrambi origine dalla vita. Il processo di liberazione dall'errore, tuttavia, é frutto anch'esso dell'educazione alla verità, che é andata avanti per millenni: esso giunge a compimento con l'ateismo assoluto. Non si tratta pertanto di dimostrare che Dio non esiste o di prescrivere l'eliminazione di dio dalla vita, quanto di prendere atto del declino inarrestabile della fede in Dio, che consente di liberare l'umanità dalla coscienza della colpa. Si apre così uno spiraglio per il nichilismo attivo, capace di portare ad una trasvalutazione di tutti i valori. Zarathustra ( ovvero Zoroastro, riformatore della religione iranica) é un personaggio messo in piedi da Nietzsche come contraltare della figura di Cristo: anche lui é venuto per portar via molti dal gregge e dai pastori, cioè quei seguaci dell'ortodossia che odiano chi "spezza le loro tavole dei valori". Ma la verità nuova di cui Zarathustra si fa portavoce é che Dio é morto : "Dio é una supposizione" dell'uomo, caduta la quale non c'é più nulla da temere, né diavolo, né inferno, nè occorre più nutrire speranze ultraterrene, ma si può tornare ad essere fedeli alla terra e alla vita, senza farsi annebbiare da speranze di vita ultraterrena; e d'altronde Dio non era altro che una limitazione artistica per l'uomo, che si trovava dei valori già belli e pronti, doveva solo rispettarli: l'uomo deve essere un creatore di valori e poi "che resterebbe da inventare se esistessero gli dèi?". Zarathustra é il "senzadio", che proprio per questo motivo ha acquistato una nuova leggerezza, può danzare, ridere e rovesciare le vecchie tavole dei valori, in opposizione ai dispregiatori del corpo, ai rassegnati, allo spirito di gravità (che impedisce agli uomini superiori di spiccare il volo) ; e Zarathustra stesso dice che potrebbe credere solo in un Dio che sapesse danzare. Con la morte di Dio crollano i valori, che sancivano il "no" perentorio alla vita terrena, il disprezzo di essa nella convinzione che ve ne fosse un'altra ("un mondo dietro il mondo", dice Nietzsche), e viene anche a cadere la supposizione dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio: e infatti, da che mondo é mondo, la plebe ha sempre sostenuto: "Noi siamo tutti uguali,l' uomo é uomo;davanti a Dio siamo tutti uguali!." Davanti a Dio ! Ma questo Dio é morto. Davanti alla plebe, però, noi non vogliamo essere uguali. Zarathustra può dunque completare il suo annuncio profetico in questi termini: "Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva." Dal momento che non c'é più un Dio che dice all'uomo che cosa fare, l'uomo deve giungere con un balzo, più che con un'evoluzione graduale, a un superamento dell'uomo come é stato sinora: l'uomo é qualcosa di transitorio ed é paragonato da Nietzsche ad " un cavo teso tra la bestia e il superuomo" : l'uomo non é un punto di arrivo, ma di partenza, per dare qualcosa in più, per arrivare al superuomo. Il superuomo non si trova più, come l'uomo, tra la realtà divina e quella animale, ma poggia soltanto su se stesso, pronto ad affrontare il pericolo dell'esperimento di nuove forme di vita. La nozione di superuomo é andata soggetta a molti fraintendimenti nel corso della storia e con il Nazismo il concetto é stato indebitamente esteso, passando da superuomo a "super-razza". Nella sua autobiografia, "Ecce homo", Nietzsche dà una definizione di superuomo come il "tipo riuscito al massimo grado", radicalmente diverso dall'uomo moderno, buono, cristiano. Egli ci tiene a precisare che sarebbe un grave errore concepirlo come un eroe o una sorta di mezzo santo e mezzo genio o, addirittura, come l'esemplare di una razza superiore di uomini (come invece é stato inteso dal Nazismo), quasi un ulteriore anello nella catena evolutiva della specie umana. Ma sarebbe altrettanto sbagliato considerarlo come una sorta di modello con tratti e contenuti già definiti nel suo modo di vivere, da proporre all'imitazione di tutti. Sempre i "Ecce homo", Nietzsche si ritrae con sgomento dalla possibilità di diventare egli stesso un modello, di avere seguaci che si ispirino a lui: "Non c'é nulla in me del fondatore di religioni: non voglio credenti, non parlo alle masse; ho paura che un giorno mi facciano santo" ; e i timori di Nietzsche erano più che fondati, visto che, dopo la sua morte, venne esaltato da tutti esattamente come un santo. Ma questo atteggiamento equivale a reintrodurre norme e regole d'azione, che tornerebbero a soffocare la creatività della vita e la formazione di individualità irripetibili e irriducibili a denominatori comuni: sarebbe come scalzare Dio per sostituirlo con Nietzsche! Più che sostituire nuovi valori a vecchi, si tratta di eliminare la nozione stessa di valore come norma superiore a cui l'uomo e la vita dovrebbero sottomettersi. Quel che insegna Zarathustra é una nuova volontà, la volontà libera, capace di creare il nuovo. La morte di Dio e la trasvalutazione dei valori permettono all'uomo di oltrepassare e superare se stesso e di spingersi verso il nuovo, verso ciò che non é ancora stato scoperto né sperimentato. Ma ogni creazione comporta al tempo stesso distruzione: il nuovo può emergere solo attraverso la distruzione del vecchio e, dunque, attraverso la sofferenza. La nuova virtù diventa allora la potenza. Nietzsche sa bene che non é facile accettare la nuova realtà, senza il "Dio-protettore" in cui credere, ma sa che senza Dio il "mare" che ci sta davanti é aperto come non mai, pronto a navigazioni artistiche e spericolate, forse non troppo sereno, ma comunque di una vastezza incommensurabilmente maggiore a quando era sovrastato da Dio: "noi filosofi e spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio é morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d'attesa- finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non é sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza é di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi é ancora mai stato un mare così aperto...". COSI' PARLO' ZARATHUSTRA
Fra i miei scritti sta a sè il mio Zarathustra. Con esso io ho fatto all'umanità il più grande regalo che le sia mai stato fatto.
L' idea di Così parlò Zarathustra Balenò a Nietzsche come una folgorazione nell' agosto del 1881 , in Engadina ( Svizzera ) , " 6000 piedi al di là dell' uomo e del tempo " . Essa coincise con il rivelarsi dell' " eterno ritorno " , una delle teorie più fortemente nietzschiane . Lo Zarathustra rielabora e ripresenta tutto ciò che Nietzsche era stato fino allora in una forma assolutamente nuova , e soprattutto in una forma incompatibile con i canoni della filosofia occidentale . " Un libro per tutti e per nessuno " é il sottotitolo di Così parlò Zarathustra : proprio perchè obbliga il pensiero a parlare immediatamente , fuori da ogni tecnicismo , in una forma poetica e profetica : tutti possono leggerlo , ma chi può capirne fino in fondo il significato ? Probabilmente nessuno . Non a caso ogni volta che si apre questo libro carico di enigmi , esso appare sorprendente e diverso , quasi se non si esaurisse mai il suo significato . Nietzsche era consapevole di questa ambiguità e di questa polisemia del suo libro , e in certo modo dell' intera sua opera ; in una lettera del 1884 scriveva : " Chissà quante generazioni dovranno trascorrere per produrre alcune persone che riescano a sentire dentro di sé ciò che ho fatto ! E anche allora mi terrorizza il pensiero di tutti coloro che , ingiustificatamente e del tutto impropriamente , si richiameranno alla mia autorità . Ma questo é il tormento di ogni grande maestro dell' umanità : egli sa che , in date circostanze del tutto accidentali , può diventare con la stessa facilità una sventura o una benedizione per l' umanità " .Così parlò Zarathustra è l'opera che riassume il pensiero dell'ultima fase intellettuale di Nietzsche. L'opera è scritta secondo un modello che richiama lo stile del Nuovo Testamento e questa scelta di stesura in forma profetica ci fa intuire come Nietzsche , da questo periodo della sua vita in poi, si senta investito di un compito epocale, una convinzione di dover provocare un mutamento radicale di civiltà, mutamento concepito in solitudine e in un totale isolamento intellettuale. In questa opera Nietzsche prende congedo dal moralista e dallo psicologo e prende i toni di un profeta e di un lirico. Negli scritti successivi tale rottura va perduta, ed anche il respiro profetico. L'esame del contenuto porta comunque a scoprire una continuità di sviluppo: che Al di là del bene del male abbia i medesimi contenuti di Così parlò Zarathustra lo dice Nietzsche stesso; che un'uguale tematica sia già presente nella Gaia scienza è facilmente dimostrabile da un'analisi dell'opera e dei relativi frammenti postumi. Ma i contenuti non sono l'essenziale per Nietzsche: in quest'opera ciò che conta è il dettaglio, la singola visione, il tempo, il colore musicale, piuttosto che non i pensieri di fondo. Questo non inteso letterariamente (che sia essenziale la forma) ma filosoficamente. Piuttosto la forma è rivelatrice di un tentativo particolare di comunicazione, dove ciò che importa è anzitutto quello che vuol essere comunicato. Poesia e filosofia consistono in questo: rievocare, collegare (in un certo modo e in una certa forma) immagini, sentimenti e concetti preesistenti; e dove venga usato un linguaggio simbolico, alludere (attraverso una trasposizione immaginativa) a immagini, sentimenti e concetti già costituiti. Ma quando questi manchino, ossia quando ciò che è manifestato da un'espressione non sia esso stesso espressione, bensì una certa immediatezza di vita, fuori della rappresentazione e della coscienza, allora intervengono forme espressive analoghe a quelle di Così parlò Zarathustra. Questo libro sembra sorgere perciò dalla sfera delle espressioni primitive, ed è arduo classificarlo come opera filosofica. Una filosofia è di regola una manipolazione di concetti, i quali esprimono oggetti sensibili, mentre qui immagini e concetti non esprimono né concetti né cose concrete, sono simboli di qualcosa che non ha volto, sono espressioni nascenti. Così parlò Zarathustra è "un libro per tutti", è stato un serio tentativo di portare la filosofia su un piano esoterico, strappandola al tecnicismo, all'isolamento di cerchie senza risonanza, alla derisione che viene riservata a un'arte pretenziosa fuori moda. E' anche "un libro per nessuno", una battaglia di vasta portata,: ma quello che sul fondo di essa vi è di remoto, nascosto, inaccessibile, intorbida la chiarezza della comunicazione. La melanconia di Zarathustra, i suoi lunghi silenzi, i sogni orrendi, l'ora senza voce, alludono di continuo ad una natura precocemente armata contro la vita, esposta al contagio pessimistico. Ma non c'è solo sensibilità, ma anche reattività, quella di un superuomo che declassa la ragione e afferma di nuovo la naturalità. Ma chi é Zarathustra , il folgorante profeta del superuomo , in fin dei conti ? Egli é il " senzadio " per eccellenza , il sostenitore della teoria del superuomo e dell' eterno ritorno ; dopo essersi allontanato dalla sua città che aveva 30 anni e dopo averne passati 10 sui monti , in un luogo ameno e isolato , in compagnia di se stesso e dei suoi amici animali , all' età di 40 anni sente il bisogno di tornare in mezzo agli uomini per metterli a conoscenza della teoria del superuomo , per insegnare loro ad apprezzare il mondo terreno per quello che é , senza vivere aspettando un presunto mondo ultraterreno che non può che non esserci : Giunto a trent' anni , Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese , e andò sui monti . Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò . Alla fine si trasformò il suo cuore , - e un mattino egli si alzò insieme all' aurora , si fece al cospetto del sole e così gli parlò : - "Astro possente ! Che sarebbe la tua felicità , se non avessi coloro ai quali tu risplendi ! Per dieci anni sei venuto quassù , alla mia caverna : sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto , senza di me , la mia aquila , il mio serpente . Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato dal tuo superfluo ; di ciò ti abbiamo benedetto . Ecco ! La mia saggezza mi ha saturato fino al disgusto ; come l' ape che troppo miele ha raccolto, ho bisogno di mani che si protendano . Vorrei spartire i miei doni , finché i saggi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza . Perciò devo scendere a giù in basso : come tu fai la sera , quando vai dietro al mare e porti la luce al mondo infero , o ricchissimo fra gli astri ! Anch' io devo al pari di te , tramontare , come dicono gli uomini , ai quali voglio discendere . Benedicimi , occhio pacato , scevro d' invidia anche tu alla vista di una felicità troppo grande ! Benedici il calice , traboccante a far scorrere l' acqua d' oro , che ovunque porti il riflesso splendente della tua dolcezza ! Ecco ! Il calice vuol tornare vuoto , Zarathustra vuol tornare uomo". Così cominciò il tramonto di Zarathustra . Zarathustra fa il suo arrivo in città e al vedere una folla non può resistere : ecco allora che pronuncia la teoria del superuomo ( oltreuomo ) , sostenendo che l' uomo in sè non sia un punto di arrivo , ma di partenza per dare un qualcosa di più , il superuomo appunto ; questi afferma la vita accettandone la sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l'accompagnano con gioioso (dionisiaco) amore per l'esistenza; è un creatore di valori ed è per questo privo di valori fissi e immutabili, al di là del bene e del male, artefice di una "morale autonoma " . Ecco come Zarathustra arringa la folla : Giunto nella città vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trovò radunata sul mercato una gran massa di popolo: era stata promessa infatti l'esibizione di un funambolo. E Zarathustra parlò così alla folla:Io vi insegno il superuomo. L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo? Che cos'è per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all'uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio tra voi non è altro che un'ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell'imperscrutabile più del senso della terra! In passato l'anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Ma questa anima era anch'essa macilenta, orrida e affamata: e crudeltà era la voluttà di questa anima! Ma anche voi, fratelli, ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dell'anima vostra? Non è forse la vostra anima indigenza e feccia e miserabile benessere? Davvero, un fiume immondo è l'uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senza diventare impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è il mare, nel quale si può inabissare il vostro grande disprezzo. Qual è la massima esperienza che possiate vivere? L'ora del grande disprezzo. L' ora in cui vi prenda lo schifo per la vostra felicità e così pure per la vostra ragione e la vostra virtù . L' ora in cui diciate : " Che importa la mia felicità ? Essa é indigenza e feccia e un miserabile benessere . Ma la mia felicità dovrebbe giustificare persino l' esistenza ! " L' ora in cui diciate : " Che importa la mia ragione ! Forse che essa anela al sapere come il leone al suo cibo ? Essa é indigenza e feccia e un miserabile benessere " . L' ora in cui diciate : " Che importa la mia virtù ! Finora non mi ha mai reso furioso . Come sono stanco del mio bene e del mio male ! Tutto ciò é indigenza e feccia e benessere miserabile ! " . L' ora in cui diciate : " Che importa la mia giustizia ! Non mi vedo trasformato in brace ardente Ma il giusto é brace ardente ! " . L' ora in cui diciate : " Che importa la mia compassione ! Non é forse la compassione la croce cui viene inchiodato chi ama gli uomini ? Ma la mia compassione non é crocifissione " . Avete già parlato così ? Avete mai gridato così ? Ah , vi avessi già udito gridare così ! Non il vostro peccato - la vostra accontentabilità grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo! Ma dov'è il fulmine che vi lambisca con la sua lingua! Dov'è la demenza che dovrebbe esservi inoculata? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli è quel fulmine e quella demenza! - Zarathustra aveva detto queste parole, quando uno della folla gridò: "Abbiamo sentito parlare anche troppo di questo funambolo; è ora che ce lo facciate vedere!". E la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, credendo che ciò fosse detto per lui, si mise all'opera. Zarathustra invece guardò meravigliato la folla. Poi parlò così: L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione. Io amo gli uomini del grande disprezzo, perché essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all'altra riva. Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perché un giorno la terra sia del superuomo. Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E così egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che lavora e inventa, per costruire la casa al superuomo, e gli prepara la terra, l'animale e la pianta: giacché così egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che ama la sua virtù: giacché virtù è volontà di tramontare e una freccia anelante. Io amo colui che non serba per sé una goccia di spirito , bensì vuol essere in tutto e per tutto lo spirito della sua virtù : in questo modo egli passa , come spirito , al di là del ponte . Io amo colui che della sua virtù fa un' inclinazione e un destino funesto : così egli vuole vivere , e insieme non più vivere , per amore della sua virtù . Io amo colui che non vuole avere troppe virtù . Una virtù é più virtù di due , perchè essa é ancor più il cappio cui si annoda un destino funesto . Io amo colui l' anima del quale si dissipa e non vuol essere ringraziato , né dà qualcosa in cambio : giacché egli dona sempre e non vuol conservare se stesso . Io amo colui che si vergogna quando il lancio dei dadi riesce in suo favore e si domanda : sono forse un baro ? egli infatti vuole perire . Io amo colui che getta avanti alle proprie azioni parole auree e mantiene più di quanto prometta : egli infatti vuole il proprio tramonto . Io amo colui che giustifica gli uomini dell' avvenire e redime quelli del passato : a causa degli uomini del presente egli infatti vuole perire . Io amo colui che castiga il suo dio perchè ama il suo dio : giacché dovrà perire per l' ira del suo dio . Io amo colui l'anima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro di lui: tutte le cose divengono così il suo tramonto. Io amo colui che è di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non è altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall'oscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri periscono. Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo. E' particolarmente forte e carica di significati la definizione di uomo come cavo teso tra bestia e superuomo : spetta a ciascuno di noi scegliere la parte verso la quale " forzare " . Tuttavia la folla non apprezza le parole di Zarathustra , sentendosi incapace di dar vita al superuomo , e preferisce assistere allo spettacolo del funambolo , uno spettacolo che non mette in crisi le loro concezioni e non stravolge un mondo che a loro pareva consolidato , come invece fa Zarathustra . Ecco che il funambolo cammina sul filo teso tra due torri , un cavo teso proprio come é l' uomo per Nietzsche ; improvvisamente però egli precipita e si schianta al suolo : é il destino dell' uomo dai bassi ideali , che si ostina a seguire la tradizione del bene e del male , senza lasciarsi ammaestrare dagli insegnamenti di Zarathustra : una volta precipitato , egli é ancora in vita , ma gli resta poco prima di morire : Zarathustra gli si avvicina incuriosita ed egli fa le sue ultime riflessioni prima della morte , cercando di immaginare , secondo la tradizione religiosa , che cosa gli toccherà dopo la vita : sapevo da un pezzo che il diavolo mi avrebbe fatto lo sgambetto , egli dice a Zarathustra ; ma questi gli spiega che non c' é nessun aldilà , nessun " mondo dietro al mondo " : Sul mio onore amico , rispose Zarathustra , le cose di cui parli non esistono : non c' é il diavolo e nemmeno l' inferno . La tua anima sarà morta ancor prima del corpo : ormai non hai più nulla da temere ! . Il funambolo , in fin di vita , accetta quanto Zarathustra gli dice e nell' atto di esalare l' anima cerca di protendere la sua mano verso quella di Zarathustra per ringraziarlo . Successivamente il saggio Zarathustra espone la grande teoria delle tre metamorfosi per diventare superuomini : attraverso le tre figure del cammello, leone, fanciullo Nietzsche riesce a spiegare il procedere umano verso la propria autoliberazione dagli idoli della superstizione e della colpa (religione e morale) verso l'innocenza dionisiaca del superuomo. Il cammello rappresenta l'uomo che teme e riverisce, che si piega davanti alla grandezza di Dio assumendo volontariamente su di sé i grandi tormenti del mondo. L'uomo poi diventa leone quando combatte contro la morale che gli è stata imposta riconoscendo il suo stato di alienazione precedente. Ma il leone possiede una "libertà da..." e non una "libertà di..." e allora per dare nuove leggi il leone deve diventare fanciullo, che rappresenta l'innocenza. I motti sono "tu devi" per il cammello, "io voglio" per il leone e "io sono" per il fanciullo.
Un ateismo radicale , che nasce dalla teoria secondo la quale Dio sarebbe morto : con il decadimento di tutti i valori , religiosi e non , é decaduto anche Dio stesso :Dio é morto ; a causa della sua compassione per gli uomini é defunto Iddio . [...] E' già da molto tempo che gli antichi dèi finirono : e , invero , ebbero una buona e lieta fine da dèi ! Essi non trovarono la morte nel crepuscolo , questa é la menzogna che si dice ! Piuttosto : essi risero una volta da morire , fino a uccidere se stessi ! Questo accadde , quando la più empia delle frasi fu pronunciata da un dio stesso , questa : Vi é un solo dio ! Non avrai altro dio accanto a me ! Un vecchio dio barbuto e burbero , un dio geloso trascese a questo modo : e allora tutti gli dèi risero e barcollarono sui loro seggi e gridarono : Ma non é proprio questa la divinità , che vi siano dèi ma non un dio ? Chi ha orecchi intenda . Questo é un punto di partenza per il superuomo , il cui agire pare davvero illimitato ( neanche Dio può limitarlo , visto che é morto ) : Morti sono tutti gli dèi : ora vogliamo che il superuomo viva . D' altronde l' uomo ha sempre vissuto nel timore di Dio e di un altro mondo , arrivando così a svalutare quello in cui trascorre la sua vita : ecco allora che é arrivato a vivere tristemente , nel timore di peccare e di commettere torto a Dio : ma da quando vi sono uomini , l' uomo ha gioito troppo poco : solo questo , fratelli , é il nostro peccato originale ! . Zarathustra , il senzadio , capisce che gli uomini comuni non fanno per lui , il loro carattere non si confà Alle istanze della dottrina di cui si fa portavoce ; soprattutto gli uomini che parlano ancora di bene e male ( come se esistessero ! ) , quelli che sono per il " volgo " i buoni , che insegnano l' uguaglianza : per Zarathustra essi sono tarantole : Ecco la tana della tarantola ! Vuoi vederla tu stesso ? Qui pende la sua ragnatela : toccala , che frema . Eccola venire docilmente : benvenuta , tarantola ! Nero sta sul tuo dorso il tuo triangolo e distintivo ; e io so anche che cosa si annida nella tua anima . Vendetta si annida nella tua anima : dove tu mordi , si forma una nera chiazza ; con la vendetta il tuo veleno fa venire le vertigini all' anima ! Così io parlo per similitudine a voi , che fate venire le vertigini alle anime , voi predicatori dell' uguaglianza ! Tarantole siete voi per me , e in segreto smaniose di vendetta ! ... così parla a me la giustizia : - gli uomini non sono uguali - E neppure devono diventarlo ! Che sarebbe il mio amore per il superuomo se io parlassi diversamente ? Per mille ponti e sentieri devono sospingersi verso il futuro , e tra loro deve essere posta sempre più guerra e disuguaglianza : così mi fa parlare il mio grande amore ! ...Invero Zarathustra non é vento che ruoti vorticoso ; e se anche é un danzatore , non sarà mai un danzatore per morso di tarantola ! ; questi uomini sono tarantole che , come se in combutta con lo spirito di gravità , vogliono impedire al superuomo di emergere , di elevarsi al di sopra di tutto e di tutti , vogliono impedirgli di volare , ostinandosi a parlare di bene e di male , di uguaglianza e di solidarietà : Anche io ho imparato a fondo l' arte di attendere , ma soltanto di attendere me stesso . E sopra ogni altra cosa ho imparato a stare e andare e camminare e saltare e arrampicarmi e danzare . Ma questa é la mia dottrina : chi vuole imparare un giorno a volare , deve prima di tutto imparare a stare e andare e camminare e arrampicarsi e danzare : il volo non si impara in volo ! Io ho imparato ad arrampicarmi con scale di corda fino a più di una finestra , a gamba lesta mi sono inerpicato su per alti alberi di nave : star seduto sugli alti alberi della nave della conoscenza , mi parve non piccola beatitudine , palpitare come le fiammelle su alti alberi di nave : una piccola luce , é vero , purtuttavia un grande conforto per naviganti e naufraghi sperduti ! Per vie di molte specie e in molti modi sono giunto alla mia verità ; non fu una sola scala , quella su cui salii per giungere alla vetta , dove il mio occhio dilaga nelle mie remote lontananze . E solo malvolentieri ho sempre chiesto le strade , ciò é sempre stato contrario al mio gusto ! Preferivo interrogare e tentare le strade da solo . Il mio cammino é sempre stato , in tutto e per tutto , un tentativo e un interrogativo ; in verità bisogna anche imparare a rispondere a questo interrogare ! Ma questo é il mio gusto : non un buon gusto , né cattivo , bensì il mio gusto , di cui non mi vergogno più e che più non celo . <<>> , così rispondo a quelli che da me vogliono sapere la strada . Questa strada , infatti , non esiste ! ; ma quella di Zarathustra non é una semplice presa di posizione contro il volgo , che gli si é dimostrato nemico : lui ha provato a propugnare presso il popolo le sue teorie dell' oltreuomo e della morte di Dio , ma esso non le ha accettate. Zarathustra decide così di tenersi distante dal popolo e di allontanarsi dalla città a lui cara , " Vacca Pezzata " , per far ritorno sulla montagna alla sua caverna : tuttavia il suo permanere presso gli uomini non é stato vano ; certo , ha capito che essi preferiscono forzare dalla parte delle bestie piuttosto che verso quella del superuomo , si é accorto che un superuomo non c' é ancora stato ( Ancora non é esistito un superuomo . Io li ho visti tutti e due nudi , l' uomo più grande e il più meschino . Sono ancora troppo simili l' uno all' altro . In verità anche il più grande io l' ho trovato troppo umano ! ) , ma tuttavia é arrivato a scoprire che in ogni uomo é insita la volontà di potenza , ogni azione é motivata dal cercare di aumentare il proprio potere : Ogni volta che ho trovato un essere vivente , ho anche trovato volontà di potenza ; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone . Il debole é indotto dalla sua volontà a servire il forte , volendo egli dominare su ciò che é ancora più debole : a questo piacere , però , non sa rinunciare . E come il piccolo si dà al grande , per avere diletto e potenza sull' ancora più piccolo : così anche ciò che é più grande dà se stesso e , per amore della potenza , mette a repentaglio la sua vita . Ma Zarathustra é il grande distruttore della morale classica, imposta dal razionalismo socratico: la più grande liberazione deve però riguardare l’idea cristiana della morte, idea strutturata secondo il modello cristiano - borghese di dominio. La paura della morte è la paura della sanzione finale dell’insensatezza dell’esistenza: Molti muoiono troppo tardi, e alcuni muoiono troppo presto. Suona ancora strano l’insegnamento: "muori al momento giusto!". Muori al momento giusto: questo insegna Zarathustra. In verità, chi non vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Bisognerebbe che non fosse mai nato! Questo consiglio ai superflui. Zarathustra dunque ritorna sulla sua montagna arricchito di nuove esperienze ha una conoscenza più profonda dell' uomo di quanto non avesse prima . Ecco che Zarathustra matura la teoria dell' eterno ritorno.
Ma il superuomo è il solo che può apprezzare l'eternità, l'eterno ritorno, perché è un rinnovarsi continuo della sua volontà di potenza e del suo dominio sul mondo: un dominio che dovrà ritornare all'infinito, per l'eternità: ed è questo l' "amor fati" che proclama Zarathustra, l'amore per l'eterno ritorno delle cose; egli continua a ripetere "ti amo eternità! una volta abbandonata definitivamente la città e il mercato , Zarathustra dialoga a riguardo della dottrina dell' eterno ritorno con i suoi stessi animali , che , a differenza del volgo , lo ascoltano entusiasti , quasi come a dire che essi sono superiori perchè in fondo l' uomo é il più crudele degli animali : ecco che io muoio e scompaio , diresti , e in un attimo sono un nulla . Le anime sono mortali come i corpi . Ma il nodo di cause , nel quale io sono intrecciato , torna di nuovo , esso mi creerà di nuovo ! Io stesso appartengo alle cause dell' eterno ritorno . Io torno di nuovo , con questo sole , con questa terra , con quest' aquila , con questo serpente , non a nuova vita o a vita migliore o a una vita simile : io torno eternamente a questa stessa identica vita . Zarathustra narra di una passeggiata su un impervio sentiero di montagna , in cui lo segue lo spirito di gravità , metà talpa , metà nano , metà storpio , il suo demonio e nemico capitale , il quale gli canta una sorta di ritornello che contiene una versione da nani dell' eterno ritorno : O Zarathustra , sussurrava beffardamente sillabando le parole , tu , pietra filosofale ! Hai scagliato te stesso in alto , ma qualsiasi pietra scagliata deve cadere ! [ A un certo punto si trovano di fronte ad una porta carraia ] . <<>> . <<>> . Tu , spirito di gravità ! , dissi io incollerito , non prendere la cosa troppo alla leggera ! . Sulla sua montagna Zarathustra ritrova la pace: ma essa viene improvvisamente sconvolta da un grido d'aiuto lanciato dalla foresta: é l'umanità che ha bisogno di Zarathustra e dei suoi insegnamenti. Ecco allora che il vecchio senzadio non esita a scendere dal monte e si lancia alla ricerca di chi ha emesso l'urlo per potergli prestare soccorso: si imbatte in un indovino già incontrato anni addietro e poi in una coppia di re: anch'essi, come Zarathustra, sono alla disperata ricerca di un uomo superiore, nauseati dalla volgare società comune. Con Zarathustra condividono l'ideale che l'uomo più elevato sulla terra deve anche essere il signore di tutti. Non vi é nel destino dell'uomo sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Proseguendo la sua ricerca, Zarathustra si imbatte in un ferito che, dopo l'incertezza iniziale, si rivela onorato di essere al cospetto del celebre senzadio: dopo averlo aiutato e rincuorato, Zarathustra, tipico eroe romantico che non trova pace, non demorde nella sua ricerca e incontra un mago che gli si rivolge con una sfilza di ritornelli magici e di filastrocche: anch'egli comunque nutre grande rispetto nei confronti del celebre vegliardo ed é pronto a seguire i suoi preziosi insegnamenti. Ma probabilmente il punto culminante nei vari incontri di Zarathustra é quello con il vecchio papa: il vecchio senzadio gli domanda se é vero, come si dice, che Dio é morto: il vecchio papa annuisce. Dio é morto per colpa degli uomini? No di certo: che colpe può avere l'uomo verso Dio? E' Dio stesso che l'ha creato e deve risponderne! Se la colpa era dei nostri orecchi, perchè ci dette degli orecchi che lo udivano male? domanda Zarathustra con insistenza. Fu il buon gusto alla fine che portò l'uomo a dire: Basta con un Dio così!Meglio nessun Dio, meglio costruirsi il destino con le proprie mani, meglio essere un folle, meglio essere noi stessi Dio!. Dopo essersi in seguito imbattuto nell'uomo più brutto del mondo, nel mendicante volontario, e perfino nella sua stessa ombra, Zarathustra rincasa: alla fine egli invita nella sua caverna tutti i personaggi che ha incontrato ed essi accettano l'invito con gioia. A questo punto ciascuno di loro apprende finalmente che cosa significhi vivere, senza il timore di Dio o di forze soprannaturali e quello che sembra apprezzare maggiormente é l'uomo più brutto: Io sono per la prima volta felice di aver vissuto tutta quanta la mia vita. E l'attestare questo non mi basta ancora. Vale la pena di vivere sulla terra. Occorre imparare ad apprezzare il nostro mondo, senza speranze in una vita ultraterrena!

VOLONTA' DI POTENZA
Già ai tempi di "Aurora" Nietzsche aveva asserito che "il primo effetto della felicità é il sentimento della potenza: esso vuole estrinsecarsi, sia verso noi stessi che verso altri uomini, idee o realtà immaginarie. Le modalità più consuete del sue estrinsecarsi sono: donare, decidere, annullare". Affiora qui il tema della volontà di potenza (in tedesco wille zur macht), centrale anche nella "Gaia scienza" e sul quale Nietzsche ha lasciato numerosi appunti, che formeranno poi la base dell'opera postuma pubblicata dalla sorella (in chiave filo-nazista) con questo titolo: "La volontà di potenza. Un saggio sulla trasmutazione di tutti i valori". La volontà di potenza, propria dei viventi, non ha obiettivi fuori di se stessa, nemmanco quello dell'autoconservazione. E' stata la morale tradizionale a parlare di fini e di intenzioni, ma questa menzogna ha nascosto che alla radice di ogni azione vi é sempre e comunque la volontà di potenza. Infatti, anche quando si fa del bene ad altri, lo si fa in realtà per mostrare che é vantaggioso per essi rimanere in nostro potere e, allo stesso modo, il sacrificio del martire dipende dalla sua avidità di potenza. Già nello Zarathustra Nietzsche affermava: "Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone. Il debole é indotto dalla sua volontà a servire il forte, volendo egli dominare su ciò che é ancora più debole: a questo piacere, però, non sa rinunciare. E come il piccolo si dà al grande, per avere diletto e potenza sull' ancora più piccolo: così anche ciò che é più grande dà se stesso e, per amore della potenza, mette a repentaglio la sua vita.". La volontà di potenza é alla base della stessa volontà di verità e di ogni posizione di valori. Ma in queste forme la volontà di potenza é puramente reattiva, si afferma solo come reazione agli altri e quindi in qualche modo dipende ancora da essi. In ogni caso, non sono né i fini né le intenzioni a costruire la forza che dà l'impulso all'azione, ma una quantità di energia accumulata la quale non attende che di esplicarsi: l'unica forza agente é la volontà di potenza. La volontà non dipende dall'esistenza di un presunto io o di una presunta anima, ma dalla vita, che é continuo divenire e necessario superamento di se stessa. Tale volontà, tuttavia, non é tanto volontà di vivere, ovvero di autoconservarsi, ma la volontà di potenza: la conservazione può essere solamente una conseguenza indiretta di essa. La volontà di potenza in senso nietzscheano si distingue dalla semplice volontà di vivere di cui aveva parlato Schopenhauer, il quale aveva anche indicato nella compassione e nell'ascetismo i mezzi per liberarsi dalla sofferenza intrinsecamente legata alla vita. Per Nietzsche, invece, la volontà di potenza si configura come un sì alla vita, in ogni momento e in ogni aspetto, anche al dolore che essa comporta e contiene: non é mai negazione della vita nè é subordinata a fini trascendenti ancora da venire. Solo la disciplina formativa del grande dolore, non la compassione, é creatrice di ogni eccellenza umana. Certi della loro potenza, i più forti non temono i pericoli e le disgrazie, nè hanno bisogno di subordinarsi a princìpi di fede; in questo senso essi non sono fanatici, né dogmatici, in quanto non hanno lo scopo di imporre se stessi come modello agli altri, perchè questo sarebbe come rendere condivisibile la propria superiorità e quindi sarebbe come rimpicciolirla. In "Al di là del bene e del male", Nietzsche sostiene che non abbia senso dire : "Quel che é giusto per uno deve essere giusto per l'altro" o, in altri termini, che ciò che é vero per uno debba essere vero anche per altri. A parere di Nietzsche non esistono fatti oggettivi, ma solo interpretazioni e ogni interpretazione é violenza, unilateralità, aggiunge o toglie qualcosa: "Non esistono fatti, ma solo interpretazioni". Ciò non significa che tutte le interpretazioni, a cui dà adito la vita, siano equivalenti, ma il criterio per distinguerle e stabilire preferenze tra esse non é dato dalle opposizioni vero-falso, giusto-ingiusto, bensì dalla relazione che ciascuna di esse intrattiene con la vita: si tratta, in altre parole, di considerare in che misura ciascuna interpretazione contribuisce a potenziare o indebolire la vita, ossia di valutare la quantità di volontà di potenza che si esprime in ognuna di esse. Il criterio sarà, dunque, dato dalle opposizioni tra salute e malattia; forza e debolezza, attività o reattività, creatività o risentimento. La volontà di potenza é infatti essenzialmente volontà che vuole continuamente se stessa come potenza e, quindi, tende continuamente a potenziarsi e accrescersi. Quando non é puramente reattiva e frutto del risentimento, essa conduce l'uomo ad andare continuamente "oltre (in tedesco über) se stesso": il superuomo (in tedesco übermensch) é appunto l'espressione del continuo oltrepassamento che caratterizza la volontà di potenza, non un io o un'anima potenziata, perchè non esiste un sostrato permanente e stabile al di sotto delle azioni, che sia causa delle medesime. Questo non significa che il superuomo persegua intenzionalmente lo scopo di dominare gli altri, perchè in tal caso sarebbe operante una volontà di potenza puramente reattiva, che considera rilevanti gli effetti che può produrre su altri. A coloro che si affidano alla volontà di potenza, esclusivamente reattiva e mascherata, tipica del passato, i filosofi dell'avvenire, liberi dai pregiudizi della morale, capaci di comandare e legiferare, potranno insegnare, stando a Nietzsche, che "l'uomo non é ancora esaurito per le sue possibilità più grandi". La volontà di potenza infatti é sostanzialmente creazione: con la morte di Dio, l'uomo diventa libero di creare, per mezzo della volontà, se stesso. Zarathustra é appunto presentato da Nietzsche come "uno che vede e vuole e crea, egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro". Ciò a cui Nietzsche guarda quando descrive l'aspetto incessantemente creativo della volontà di potenza, torna ad essere l'arte. La figura del superuomo sembra modellarsi su quella dell'artista, non l'artista deluso e insoddisfatto, risentito o ascetico della tradizione romantica, ma quello libero e sano, che dice sì alla vita e non ha bisogno di rassicurazione filosofiche o religiose o di modelli da seguire.

ETERNO RITORNO E AMOR FATI
La volontà di potenza, che sembra avere un potere illimitato, non può però infrangere il tempo, che non può andare a ritroso: anche la volontà non ha possibilità di andare indietro. Ma se fosse impacciata dal passato e avvertisse il passato come vincolo, la volontà non sarebbe più libera e, quindi, non sarebbe per davvero volontà di potenza. Per essere tale e, perciò, libera essa deve dire: "Così volli che fosse". E' questo l'altro insegnamento fondamentale impartito da Zarathustra: "Tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse". L'eterno ritorno dell'uguale, dice Nietzsche in "Ecce homo", é la suprema formula di origine stoica dell'affermazione, del sì alla vita, a tutto il piacere e a tutta la sofferenza che essa contiene. Solo se si é pienamente felici si può volere questa ripetizione eterna, e pertanto, soltanto con l'eterno ritorno si supera del tutto il nichilismo passivo, il no alla vita. Ciò presuppone che alla concezione lineare e progressiva del tempo, propria del cristianesimo e della mentalità moderna (tipicamente illuminista), si sostituisca un'altra concezione del tempo, in cui ogni istante non sia valutato in funzione degli altri momenti o della totalità del tempo, ma sia riconosciuto e accolto come avente in se stesso la pienezza del suo significato e, quindi, voluto come eternamente ritornante. Si può allora parlare (in concordanza con gli stoici) di amor fati , una nozione che aveva nell'Antichità e che conserva , per certi versi, pure in Nietzsche, una base cosmologica. Essa significa, infatti, non solo sopportare, ma amare tutto ciò che accade necessariamente nel mondo e, quindi, "non voler nulla di diverso da quello che é". Ciò é indispensabile, a parere di Nietzsche, per procedere con un balzo alla costruzione del superuomo. Infatti, l'amor fati consente di sostituire alla morale della rinuncia una vita che si vuole eternamente ritornante nel suo libero gioco di distruzione e creazione di nuove forme di vita. Solo la volontà che si potenzia attraverso le sue creazioni può allora dire a se stessa: così volli che fosse e diventa ciò che sei. In "Ecce homo", Nietzsche scrive: "La mia formula per la grandezza dell'uomo é amor fati: che cioè non si vuole nulla diverso da quello che é, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternità. Non solo sopportare ciò che é necessario, e tanto meno nasconderlo- tutto l'idealismo é una menzogna di fronte alla necessità- ma amarlo ..." E il tema dell'eterno ritorno e dell'amore per esso (amor fati) affiora anche nella "Gaia scienza", dove Nietzsche dice: "Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina"? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?". Zarathustra può dibattere poi sull'eterno ritorno con il Nano: "Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui : nessuno li ha mai percorsi fino alla fine . Questa lunga via fino alla porta e all' indietro : dura un' eternità. E quella lunga via fuori dalla porta e in avanti é un' altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi due sentieri; sbattono la testa l' uno contro l' altro: e qui, a questa porta carraia, convengono. In alto sta scritto il nome della porta: attimo. Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano : credi tu , nano , che questi sentieri si contraddicano in eterno ? >> . "Tutte le cose diritte mentono", borbottò sprezzante il nano. Ogni verità é ricurva, il tempo stesso é un circolo!" L'eterno ritorno compare, sempre in "Così parlò Zarathustra", quando gli animali di Zarathustra (il serpente e l'aquila) gli parlano: "Le cose stesse tutte danzano per coloro che pensano come noi: esse vengono e si porgono la mano e ridono e fuggono- e tornano indietro. Tutto va, tutto torna indietro; eternamente ruota la ruota dell'essere. [...] In ogni attimo comincia l'essere: attorno a ogni 'qui' ruota la sfera 'là. Il centro é dappertutto. Ricurvo é il sentiero dell'eternità". E con il concetto dell'eterno ritorno Nietzsche conclude la sua opera postuma, "La volontà di potenza" : "Questo mondo é un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa nè più piccola nè più grande, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità é una grandezza invariabile [...] Questo mio mondo dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge eternamente se stesso, questo mondo misterioso di voluttà ancipiti, questo mio al di là del bene e del male, senza scopo, a meno che non ci sia uno scopo nella felicità del ciclo senza volontà, a meno che un anello non dimostri buona volontà verso di sè, per questo mondo volete un nome?Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte? Questo mondo é la volontà di potenza e nient'altro! E anche voi siete questa volontà di potenza e nient'altro!".

GRIGLIA CONCETTUALE

Esposizione opere
La nascita della tragedia dallo spirito della musica
1872
Considerazioni inattuali
1873/6
Umano, troppo umano
1878/9
Aurora
1881
La gaia scienza
1882
Così parlò Zaratustra
1885
Al di là del bene e del male
1886
La genealogia della morale
1887
Il crepuscolo degli idoli
1889
L'Anticristo
(postumo)
Breve introduzione
Per la sua opera di demolizione di convinzioni consolidate, N. si é imposto come uno dei "maestri del sospetto" nel pensiero del '900. Più propriamente egli si propone una trasmutazione di tutti i valori, non volendo restare nel nichilismo, che aveva implacabilmente smascherato, e tanto mano nella decadenza a cui oppone decisamente la sua potenza. Il suo compito costruttivo non é stato però eseguito oppure é stato male inteso: ha dovuto pertanto subire tutta una serie di interpretazioni che non gli hanno reso giustizia (specie da parte del Nazismo). Forse é più opportuno lasciare a N. la sua provocante e insoddisfatta inattualità. Il suo pensiero ha influenzato gli ambiti più disparati, dalla letteratura alla musica, dalla pittura e arte espressionistica alla riflessione sociologica fino alla utilizzazione politico-ideologica.
Significato generale: un irrazionalismo "ottimistico"
Per Nietzsche la filosofia non è questione teoretica (infatti non si dà verità da contemplare), ma è una scelta, assolutamente arbitraria (è una questione di naso, cioè di gusto, non di ragione: "rispetta il mio naso, come io rispetto il tuo"). Non si dimostra che la propria tesi è vera o che quella antagonista alla propria è falsa, ma si mostra come nasce la tesi opposta, e ciò facendo la si distrugge. È il cosiddetto metodo "genealogico", che dispensa da un serio esame delle tesi avversarie.
In altri termini l'origine soggettiva di qualcosa è la consistenza di questa cosa, la realtà non ha più una sua struttura intelligibile oggettiva (analogamente a Feuerbach e il Freud "filosofo") non importa sapere se qualcosa sia vero o no, ma solo quale motivo soggettivo spinga ad affermarlo come tale.
1) alle origini della menzogna nel mondo classico
Nietzsche si interessò alla cultura classica, che affrontò in modo originale, come documenta la sua tesi sulla Nascita della tragedia (1872), con la celebre distinzione, divenuta poi largamente accettata, tra apollineo e dionisiaco.
Apollo:
dio luminoso, ben definito
forma, plasticità, arti figurative;
razionalità, controllo degli istinti, misura e equilibrio;
distacco (Apollo l'obliquo, che uccide con le frecce, distaccato dalla vittima)
Dioniso:
oscuro e irrazionale, indefinito/ambiguo
informità, musica e danza;
vitale, spontaneità, ebbrezza, orgiastico;
si unisce alle sue vittime. la vita è pervasa dal dolore e dall'assurdo: l'arte tende a trasfigurare tali aspetti sia nella commedia, sia nella tragedia
La tragedia greca univa questi due aspetti:quello apollineo, espresso dalle arti figurative con la loro scenicità definita, le domande esistenziali nel logos, e quello dionisiaco, espresso dalle musica con la sua incontenibilità in forme determinate, simbolo della vita spontanea.
Già Euripide tende a eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco, col predominio del raziocinio; è Socrate comunque il principale responsabile dell'inaridimento della cultura occidentale: lui e Platone sono "gli strumenti della dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci". Loro hanno usato di quella dialettica, che "può essere solo un'estrema risorsa nelle mani di chi non ha più armi [..] Quel che si lascia dimostrare ha poco valore." Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività spontanea in nome della ragione. Fu malato.
2) la menzogna del sapere storico
Il tema è affrontato soprattutto in Sull'utilità e il danno della storia per la vita (seconda delle Considerazioni inattuali). Nietzsche sostiene che i fatti in sé sono stupidi: occorre l'interpretazione. Sono le teorie ad essere intelligenti. Il senso della storia è spesso nemico della vita, in quanto ci rende schiavi del passato, passivi, costretti a "chinare la schiena e piegare il capo" dinanzi alla "potenza della storia", per l'"idolatria del fatto" che avviene laddove si verifica una "saturazione" di storia. Ne consegue una sfiducia nella propria capacità creativa, e il formarsi di una pura erudizione da enciclopedie ambulanti, che annulla la personalità: "nessuno osa più esporre sé stesso, ma ciascuno prende la maschera di uomo colto, di dotto, di poeta" Si diventa così "uomini che non vedono quello che anche un bambino vede".
l'uomo invidia l'animale, che subito dimentica [..] l'animale vive in modo non storico, poiché si risolve nel presente [..] l'uomo invece resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte. Per ogni agire ci vuole oblìo: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non solo luce, ma anche oscurità. La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono [..] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto.
in particolare
la storia archeologica si ferma al mediocre, si attarda ad ammirare il passato, anche nei suoi aspetti mediocri e meschini, per giustificare la presente mediocrità;
la storia monumentale cerca nel passato esempi e modelli positivi, che mancano nel presente, onde poter guardare al futuro con sicurezza che ciò che è stato possibile in passato lo sarà ancora;
solo la storia critica è davvero positiva, in quanto non si limita ad favorire l'imitazione del passato, anche eroico, ma lo vuole superare: essa trascina il passato davanti al tribunale, lo giudica e lo condanna. [deve ancora venire il momento di pienezza dell'Umanità].
3) la menzogna della scienza
Pur non essendo del tutto negativa (come pensa N. soprattutto in Umano, troppo umano, Aurora, La gaia scienza), in quanto libera dalla vecchia concezione del mondo, essa facilmente conduce all'adorazione della verità oggettiva, rende l'uomo schiavo dell'oggettività esterna, e contrapposta alla vita.
In realtà non ci sono dati, fatti oggettivi (antipositivisticamente), ma solo interpretazioni
"Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza "scevra di presupposti". La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che "niente è più necessario della verità e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano". Questa incondizionata volontà di verità, che cos'è dunque? [...] Ebbene, si sarà compreso dove voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina... Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre plu incredibile, se niente più si rivela divino salvo I'errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?" (La gaia scienza, 344)
Nietzsche, ancora, denuncia lo schematismo degli scientisti, che non si accorgono della polimorfia del reale, pretendendo di ricondurlo a pochi principi meccanici.
4) la menzogna morale
Nietzsche indica nel risentimento l'origine dei valori cristiani, morale dei deboli, dei malati, degli sconfitti, risentiti contro la vita. Il risentimento è un autoavvelenamento dell'animo che si produce in chi, debole e vile, non sa reagire adeguatamente, affidandosi alla sua vitalità spontanea e aggressiva, alle sfide del contesto. In tal modo alla lunga egli si convince che il suo comportamento, frutto in realtà di debolezza e viltà, è l'unico ad essere virtuoso: ed eleva così il valore del perdono e della remissività a valori supremi. Gettando disorientamento e confusione nella società tutta.
5) la menzogna religiosa e la morte di Dio
Nietzsche ha comunque una segreta, profonda nostalgia dell'Assoluto, come testimoniano questi versi:
All meine Tränenbäche laufen zu Dir den Lauf!Und meine letzte Herzensflamme -Dir glüht sie auf!O, Komm zurück, Mein unbekannter Gott!Mein Schmerz! mein letztes Glück!,
(F. Nietzsche, Dionysos - Dithyramben)
Ciò non toglie che il suo sia il più radicale ateismo della storia della filosofia. Per lui infatti Dio in quanto tale si oppone all'uomo: deve morire, affinchè l'uomo viva.
"Egli è morto, noi lo abbiamo ucciso. Ma questo non affare di poco" (Also sprach Zaratustra).Nietzsche d'altronde si schiera contro gli atei volgari(i ridanciani) che non si rendono conto della posta in gioco, e credono che sia facile "sbarazzarsi" di Dio. Mentre si tratta di un'opera titanica, da far tremare le vene ai polsi:
Come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare, bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare?
Con che acqua potremo lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione? (La Gaia scienza, n.125)
interpretazioni della morte di Dio:
· Secondo alcuni, tra i quali Vattimo, si tratterebbe di una presa d'atto storica;
· secondo altri, tra i quali Abbagnano, si tratta invece di una tesi metafisica.
interpretazioni del nichilismo
·Alcuni pretendono che la negazione di un Assoluto non significhi negare ogni valore;
· ma più avvedutamente altri interpreti ritengono che, al di là delle intenzioni, forse, di N,, negare i valori assoluti, propri del Cristianesimo e della religione, significa negare ogni valore. La tragica conclusione nella pazzia della parabola filosofica di N. è in tal senso significativa.
la volontà di potenza
Ogni azione di ogni uomo é dettata secondo Nietzsche da una volontà di potenza, un desiderio irresistibile di acquisire potere per dominare su tutti gli altri: "Ogni volta che ho trovato un essere vivente , ho anche trovato volontà di potenza ; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone . Il debole é indotto dalla sua volontà a servire il forte , volendo egli dominare su ciò che é ancora più debole : a questo piacere , però , non sa rinunciare . E come il piccolo si dà al grande , per avere diletto e potenza sull' ancora più piccolo : così anche ciò che é più grande dà se stesso e , per amore della potenza , mette a repentaglio la sua vita ." ( Così parlò Zarathustra )
l'eterno ritorno
La concezione di una storia lineare è fallace poiché la storia è ciclica, esiste un eterno ritorno dell'uguale, una ciclicità dell'universo, un ritorno alla natura greca che si esprime nel ciclo cosmico dionisiaco, negando così la finitezza del tempo e lo scopo del divenire. L'attimo dunque nella concezione di Nietzsche possiede tutto intero il suo senso meritando di essere vissuto per se stesso come se fosse eterno.
il superuomo
Ai valori tradizionali, propri di una "morale schiava" caratterizzata dalla debolezza dell'individuo e dal risentimento che nasconde l'interesse (esemplare la morale cristiana del sacrificio), N. oppone una "trasvalutazione" che darebbe vita alla figura dell'uomo disincantato e consapevole del nulla, eroicamente responsabile della propria finitezza, il superuomo (Übermensch) nato per andare "oltre" l'uomo del presente. Il superuomo afferma la vita accettandone la sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l'accompagnano con gioioso (dionisiaco) amore per l'esistenza; è un creatore di valori ed è per questo privo di valori fissi e immutabili, al di là del bene e del male, artefice di una "morale autonoma". Laddove gli altri vedono cose ideali, lui vede cose umane, troppo umane. La "fedeltà alla terra" del superuomo è fedeltà alla vita e al vivere con pienezza, è esaltazione della salute e sanità del corpo, è altresì affermazione di una volontà creatrice che istituisce valori nuovi. Non più "tu devi", ma "io voglio".Il superuomo è l'uomo totalmente indipendente dai valori tradizionali, l'uomo che si pone al di là del bene e del male: l'uomo superiore accetta con gioia la vita come è. In un mondo dominato dal caso e dall'irrazionalità, la sola necessità è quella della volontà che vuole riaffermare se stessa; il superuomo ha saputo identificare la propria volontà con quella del mondo, accettare la nonna terrestre che lo regge: egli è volontà di potenza incarnata. Contro la tradizione giudaico-cristiana che attribuisce al tempo una direzione lineare e una struttura articolata in passato, presente e futuro, N. nega l'esistenza di un fine del corso storico che trascenda i singoli momenti. Significati e direzioni sono solo prospettive interne al gioco di forze della volontà di potenza: ogni momento, e ciascuna esistenza in ogni attimo, ha tutto il suo senso in sé. Il superuomo, grazie all'amor fati, all'accettazione gioiosa della vita così come è - nel passato, nel presente e nell'eternità - deve costruire un'esistenza in cui ogni momento abbia tutto intero il suo senso: l'eterno presente della vita.
al di là del bene e del male
La morte di Dio rappresenta la fine delle illusioni e delle menzogne della religione e all’accettazione dell’immanenza della vita. Da qui inizia una vera e propria trasmutazione dei valori che darà vita al superuomo (oltreuomo), che si pone al di là del bene e del male, non riconosce limiti e si eleva sopra il gregge degli uomini mediocri. Questo comporta anche una volontà di potenza, un nichilismo attivo ed una concezioni ciclica della storia.
la gaia scienza
La scienza moderna é soltanto la forma più recente e nobile dell'ideale ascetico, essa ha ancora fiducia nelle verità come valore in sè, superiore ad ogni altro e, quindi, non é in grado di contrastare questo ideale. E' tuttavia possibile quella che N. definisce gaia scienza , che si rivolge ai senzapatria, figli dell'avvenire e a disagio nel proprio tempo, amanti del pericolo e dell'avventura, avversi a ogni ideale, i quali non hanno intenzione di regredire ad alcun passato nè lavorare per il progresso, ossia per l'affermarsi dell'uguaglianza e della concordia tra gli uomini. Per raggiungere questo stato di gaiezza bisogna abbandonare la morale corrente, porsi liberi al di là del bene e del male e quindi staccarsi da parecchie cose, ma per far questo occorre acquisire una condizione di leggerezza: e N. paragona questo stato a quello della "danza".
il risentimento é lo stato d'animo dell'uomo che, impotente a creare nuovi valori e ad affermarsi sulle sofferenze della vita, dice "no" alla vita stessa asservendosi alla "morale degli schiavi", odiando ciò che non può essere o non può avere e limitandosi, utilitaristicamente, a difendere le qualità del "gregge"
giudizio
La filosofia di Nietzsche rappresenta l'attacco più frontale e totale al Cristianesimo che la storia del pensiero conosca. Le tragedie del superomismo di estrema destra (il nazismo e il fascismo in particolare) hanno trovato in lui certamente una legittimazione teorica, e in molti casi uno stimolo propulsivo.
Non si può però negare a Nietzsche un atteggiamento sincero, e in qualche modo coerente fino all'estremo, tanto più notevole se lo paragoniamo a quello di un Comte o di altri filosofi, che, pur detestando la Verità, hanno finto di esserle devoti (come Hegel), o almeno indifferenti (come tanti altri).